Mostra di illustrazione di Brunella Baldi

 Una nuova collana curata da Teresa Porcella per Motta Junior. Opere illustrate, che ospiterà grandi poeti del passato ad autori del presente. Si comincia con Emily Dickinson, una raccolta delle sue poesie, illustrata con grande sensibilità, dedicata ai più piccoli. Come tutta la grande poesia, quella della Dickinson fa vedere al lettore aspetti inconsueti di ogni cosa, anche della più banale. E’ proprio questa capacità di guardare con occhi nuovi che apparenta i versi della grande poetessa all’infanzia. Un libro per tutti quelli che hanno voglia di sognare con la realtà, non importa se grandi o piccoli

sabato 20 aprile
ore 18.00

Presso Mano Libera officina d’arte
via Stoppani (angolo v. Eustachi) Milano

 

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SAM-Street Art Museum

SAM è un percorso di riqualificazione urbana, la prima tappa è la realizzazione dello  Street Art Museum di Torino, una galleria d’arte urbana a cielo aperto. Il progetto realizzato nel 2012 e promosso dall’associazione BorderGate, già da alcuni anni attiva nel campo della promozione della musica e dell’arte libera, ha visto la partecipazione di oltre 60 street artist italiani e stranieri, che insieme hanno recuperato e rivalorizzato gli spazi del Parco Michelotti, l’ex zoo comunale di Torino.
Gran parte degli edifici fatiscenti sono stati esteticamente recuperati e oggi fanno parte di un percorso artistico immerso nel verde del parco, le gabbie e le vasche degli animali, una volta abbandonate all’incuria e al degrado, sono la testimonianza di come il recupero e la valorizzazione degli spazi urbani attraverso la street art possa essere il frutto di un’importante esperienza artistica: SAM Street Art Museum.
Per tutta la stagione estiva le opere d’arte hanno fatto da sfondo per spettacoli, teatrali, attività culturali, eventi di live painting e serate di musica live e dj-set a cura di Border radio, la web radio gestita dall’associazione.
Ora i volontari di BorderGate sono pronti a riproporre questo modello autosostenibile di riqualificazione urbana, riadattandolo ad altri contesti attraverso nuove esperienze di street art sociale ed indipendente.
E’ in corso la raccolta dei fondi necessari alla realizzazione di SAM013 tramite una campagna di crowd founding, che ha l’obiettivo di finanziare la seconda tappa di SAM attraverso i ricavi derivati dalla vendita del SAM’s book, un volume che racchiude in 126 pagine le immagini e i testi dell’esperienza SAM Torino.


www.samuseum.com

 

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Ecco… ti presento … il ‘mio’?

Ecco… ti presento … il ‘mio’?
La parola che manca alle coppie non sposate.
Dall’Italia all’Inghilterra, dalla Francia alla Spagna,
dalla Germania fino in Israele ci si chiede come poter chiamare
la persona con cui si dorme, si mangia, ecc ecc ?
La parole di una volta non corrispondono più alla vita social di oggi.
Come ci identifichiamo con il cuore?

Cinque desk per voi
a cura di Elisa Ferri e Giorgia Nicolini

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L’APPRODO

Di Rita Reggiani,
1° premio concorso letterario:
Il Passetto e l’Adriatico 2012 Ancona;

…………stanotte ascoltavamo la Bora e non abbiamo dormito per niente
sognavamo di poter salpare con la Bora e raggiungere altre rive…
……(Srecko Kosovel)

Il 2 marzo 2011 alle ore 8, Ursus, lo storico pontone-gru (150 tonnellate per 80 metri di altezza) del golfo di Trieste, spinto delle fortissime raffiche di Bora ha rotto gli ormeggi, trascinando con sé anche il vecchio rimorchiatore Audax; sfiorando l’estremità della Diga vecchia, sempre sospinti dalla “regina” dei venti, hanno preso il largo, separandosi, verso il vallone di Muggia. Valentina, dopo una notte insonne per le terribili raffiche, guardava col binocolo, da dietro i vetri, lo scafo che si allontanava nella bufera; era uno spettacolo avvincente vedere Ursus, quasi animato da una propria volontà, sfidare le raffiche e il mare in tempesta per allontanarsi dal porto che da quasi un secolo lo ospitava. L’aveva sempre visto lì, faceva parte del paesaggio e adesso vederlo andare via le procurava una certa preoccupazione, perchè in fondo era un’abitudinaria: casa, scuola e pochi svaghi. Ripensò alla sua adolescenza, alla sua voglia di scoprire il mondo, di divertirsi. I suoi ricordi furono interrotti dall’irruzione nella stanza del suo compagno, che già dal corridoio le ricordava quali erano le cose da fare in mattinata; cominciò con la solita storia, che toccava fare tutto a lui, che lei se ne disinteressava e se ne andava a scuola. Ormai non replicava neanche più, era rassegnata a questo suo richiamo ai doveri e al ricorso, che lui faceva, a continui veri o presunti malesseri che limitavano la sua indipendenza. Era come se anche lei si trovasse ancorata ad un molo, in un porto, impossibilitata ad uscire in mare aperto; l’affetto spesso diventava sopportazione e la voglia di prendere il largo la tormentava periodicamente. Diede un ultimo sguardo ad Ursus che, beato lui, aveva rotto gli ormeggi e si avvivava verso l’avventura e, dopo essersi ben coperta, uscì di casa; una sferzata d’aria gelida per un attimo le fece rimpiangere il tepore domestico, ma si adattò subito a quel turbinio e, tenendosi ben fermo il cappello con le mani, quasi si fece trascinare via volentieri. Il mare grosso le impediva di vedere Ursus ormai giunto all’orizzonte: decise che anche per lei era giunto il momento di andarsene. A scuola le lezioni non furono il massimo e i ragazzi approfittarono subito per ottenere consensi e valutazioni a loro favorevoli; a fine mattinata aveva preso la decisione: la domanda di trasferimento in un’altra città. Lui non approvò la scelta; seguì un periodo in cui inquietudini, rimorsi e rimpianti si alternavano alla speranza di una felicità senza volto e senza nome. La svolta inaspettata della sua vita giunse con la conoscenza di Dusan, skipper per una agenzia turistica che da Rovinj organizzava crociere con la barca a vela in Adriatico, lungo la costa e fra le isole croate; fu invitata, quando fosse libera, a fare parte dell’equipaggio. Accettò volentieri e i suoi occhi si riempirono dei colori dell’acqua: azzurro, blu, indaco, verde, giallo, rosa, rosso, il viola di cui si tinge al crepuscolo, e di paesaggi, a volte selvaggi a volte dolci e accoglienti, che mai aveva immaginato. Tanti porti per partire e arrivare, il suono di tante voci e di rumori ormai familiari; il mare le regalava splendide emozioni, ma anche una certa agitazione. Ad interrompere questo vagabondare fu la notizia del suo trasferimento ad Ancona: una città che vive a picco sul mare, senza nessun ostacolo fra sé e il fronte del vento: è lì che la Bora l’aveva spinta.
Aveva scelto Ancona che conosceva perché vi abitava una sua amica, e che per questo era già stata  meta di un indimenticabile viaggio in mare. La traversata da Hvar, seguendo un’antica rotta dei corsari, era avvenuta in una notte tranquilla, con il solo rumore dell’acqua, la scia della barca quasi fosforescente e l’albero e le vele scure che oscillavano dolcemente contro il bagliore di migliaia di stelle. Valentina stava vivendo un sogno e, per non esserne l’unica protagonista, aveva immaginato le sirene sul fondo del mare, che danzavano fra alghe, pesci e coralli. Al primo chiarore del mattino era apparso, velato di grigio, il promontorio del Conero e poi, con più chiarezza, quasi ai suoi piedi, la città e il suo porto. Si era innamorata di Ancona, percependo il rapporto vivissimo tra roccia e mare e i segni della civiltà bene impressi nella natura, una raccolta di tanti itinerari, suggestioni, emozioni e memorie; i suoi sensi erano poi stati conquistati percorrendo uno stradello che, lasciata la quiete della città, l’aveva proiettata in un’esplosione di luce, di colori, di intensi profumi di fiori e di erbe aromatiche, giù verso il mare: aveva scoperto il Passetto e trovato il suo approdo.
Ora si sente libera, vive la sua passione, il mare; un colore ogni metro, dall’indaco all’azzurro e al verde; colori nei quali si immerge per misurare a bracciate la sua voglia di vivere, mentre segue la linea della costa, dagli stabilimenti sulle palafitte alla “Seggiola del Papa”, fra scogli affioranti; in queste lunghe nuotate, sogna di mutare la sua natura umana in quella di pesce. Il suo rifugio è lì al Passetto, una sinfonia di azzurri nella trama colorata delle grotte: sono le nuances con cui la solarità si manifesta a dettare i ritmi delle giornate e delle stagioni. Valentina ammira i giochi delle nubi, i colori delle albe e dei tramonti, lo sguardo spazia nell’indefinito orizzonte fra cielo e mare: è lì, immersa nell’azzurro, che ha ritrovato se stessa.
A volte, mentre nuota guardando verso Nord, rivolge un pensiero riconoscente ad Ursus che, povero lui, dopo qualche ora era stato prontamente recuperato, riportato in porto e saldamente ormeggiato alla banchina del vecchio Arsenale San Marco; il suo sogno di libertà era durato un attimo ma, come sostiene Dusan, ci saranno sempre le voci delle sirene che gli terranno compagnia raccontandogli le storie del mare.

Laboratorio culturale di ancona:  www.laboratorioculturalediancona.it
E mail: anconacultura@tin.it

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Patricia Piccinini e l’iperrealismo scientifico

Patricia Piccinini è nata nel 1965 a Freetown, Sierra Leone, è un’artista australiana e scultrice iperrealista, è riconosciuta come una delle principali artiste contemporane degli ultimi decenni.Dopo la laurea presso il College of the Arts Victoria l’artista ha cominciato ad esplorare e lavorare sull’intima relazione che esiste tra il nostro corpo e l’ambiente in cui viviamo.Alla fine del 1990 l’opera della Piccinini venne notata e portata alla ribalta in Australia, ha esposto molte opere a livello nazionale e di recente ha partecipato a mostre internazionali a Liverpool, Berlino,Tokyo, Lima, Kwangiu e Cardiff, New York e nel 2003 è stata selezionata come artista a rappresentare l’Australia alla Biennale di Venezia.L’artista ha un’atteggiamento ambivalente verso la tecnologia, ed usa la sua pratica artistica come un forum di discussione attraverso il quale è possibile discutere riguardo l’impatto che la tecnolgia ha sull’uomo e la società, è molto interessata dunque all’interazione che inevitabilmente oggi avviene tra naturale e artificiale.In alcuni lavori specifici  sono state affrontate le preoccupazioni circa la biotcnologia, e la costante ricerca verso la mappatura del genoma umani.Cuccioli rugosi, pupazzi nati dalla combinazione di parti umane e animali, sono le creature di quest’artista che sembra volerci raccontare di un futuro a cui dobbiamo abituarci vista la preponderante presenza dell’uomo sulla natura e le sue leggi. Creature realizzate in silicone, vetroresina e capelli umani che nella loro mostruosita ci fanno tenerezza per il loro atteggiamento indifeso, la loro richiesta di affetto materno e talvolta il loro accompagnarsi a bambini che dolcemente li sostengono. Sono dei mostri, ma allo stesso tempo chiedono comprensione e accudimento suscitando in noi stupore, talvolta disgusto, ma anche accettazione inevitabile per ciò che è diverso.

www.patriciapiccinini.net

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“leopardi amava la vita” Giorgio Caproni

Elisa Donzelli con Bruno Mangiaterra e Gabriele Pagnini

Il 7 gennaio di cent’anni fa nasceva Giorgio Caproni. In questo nostro lunedì mi piace ricordarlo tramite il suo Leopardi, doppiamente “pericoloso” da rileggere perché vitale ma anche lunare. Pensando alla poesia di Caproni, ai suoi titoli e alle sue matrici, la eco più sonora è certo quella di Dante. Guai a non ascoltarla e con lei a non ascoltare il ricorrere di considerazioni sulla Commedia all’interno delle numerose interviste cui il poeta di Livorno si era pazientemente sottoposto a partire dagli anni Cinquanta. Non così per il Recanatese perché a cercare il suo nome tra i preziosi autocommenti di Caproni si resta un po’ delusi se rare, o rarissime, sembrano essere le testimonianze a lui dedicate. Almeno in superficie della poesia di Leopardi nella poesia di Caproni c’è poco e in un certo qual senso la critica lo ha spiegato passando prima attraverso altri classici che con Dante sono Cavalcanti, Michelangelo poeta, Poliziano, Tasso, Carducci e Pascoli. Tuttavia in un celebre saggio del 1980, dedicato alla formazione culturale di Giorgio Caproni, Antonio Barbuto annoverava tra i molti anche il nome del Recanatese e, attenendosi alla complessità del lavoro di ricerca, gran parte della critica avrebbe riportato di volta in volta le sue parole. In effetti in Caproni Leopardi esiste anzitutto perché presente tra le letture giovanili che il poeta livornese divorava “con gusto” e perché custodito tra i libri della Biblioteca privata del poeta. Diversamente da Dante, scoperto sin da bambino in un’edizione a dispense comprata dal padre in edicola, Leopardi era arrivato soprattutto sui banchi di scuola per poi essere riletto dopo i vent’anni. Nel 1937, alle prese con le prime esperienze sui giornali, Caproni aveva pubblicato sulla rivista romana “Augustea” un articolo intitolato Attualità di Leopardi in cui osannava “l’eterna nostalgia di gioventù” sostenendo che “nessuno, come lui aveva amato la natura e, quindi, la vita, quella stessa vita contro cui tante volte aveva amaramente imprecato”. Ma un certo vitalismo anni Trenta, attribuito a quelle sue parole di presunto gusto rondista, Caproni lo avrebbe chiarito in un’intervista su “Il Tirreno” nel 1985: “Avevo ventitré anni. Detti gli esami da privatista [per l’insegnamento nelle elementari]. Gli esami, allora, erano una cosa seria […]. Ma agli orali litigai con un professore che interrogandomi su Leopardi voleva che in una parola dicessi cosa aveva di particolare la sua poesia. Non capii bene la domanda e non risposi. ‘Ma è il pessimismo!’ gridò. Non seppi star zitto e replicai che la storia del pessimismo di Leopardi era un luogo comune e che nessuno più del Leopardi aveva amato la vita. Però venni promosso ugualmente”. È probabile che la questione del pessimismo leopardiano, Caproni l’avesse affrontata anche tramite la filosofia di Giuseppe Rensi che nei primi anni Trenta aveva tenuto dei corsi universitari proprio a Genova. Ma nel materialismo pessimistico di Rensi, nel suo scetticismo filosofico, non c’era tanto il Leopardi che Caproni in quegli anni di apprendistato incominciava ad assorbire. C’era senz’altro il pensiero leopardiano e la riflessione sul Male del mondo che, fresco dei versi di Come un’allegoria, il poeta livornese avrebbe scoperto, di lì a poco, per una via tutt’altro che filosofica. Accanto al Leopardi “datore di vita” esiste in Caproni un Leopardi “lunare” che si nasconde nella poesia ma soprattutto nella prosa coeva. Due anni dopo l’Attualità di Leopardi, su “Augustea”, era apparso il racconto Chiaro di luna (rielaborato poi in Un ricordo e nel più noto Il gelo della mattina). La prosa di natura autobiografica traeva spunto da un episodio tragico della vita di Caproni costretto ad assistere alla scomparsa della prima fidanzata Olga Franzoni, morta di setticemia in Val Trebbia il 7 marzo del 1936. “Dolce compagna la luna, sebbene tanto lontana, m’aveva guidato dunque a quell’ora e con quell’ansia ancor più acuta nel cuore, presso il tuo asilo. […] sapevo che tu saresti finita; con precisione matematica lo sapevo, benché non rinunziassi a sperare, e coscientemente mi illudessi […] che ciò non dovesse avvenire”. Alla memoria della fanciulla Caproni aveva dedicato la prima edizione di Come un’allegoria e, attorno al suo ricordo, avrebbe costruito il finale di Ballo a Fontanigorda oltre ai Sonetti dell’anniversario del 1942.  Presto le reminiscenze scolastiche di A Silvia e della Nerina delle Ricordanze erano divenute presenze vere nell’immaginario della scomparsa di Olga e il fantasma metamorfico della “fidanzata così completamente / morta” avrebbe continuato ad aggirarsi anche nei dintorni della poesia successiva, camuffandosi via via sotto false sembianze. Ma in origine anche Caproni, come Leopardi, quella scrittura del primo amore, sfociata nella composizione in versi, l’aveva appresa attraverso la forma moderna della scrittura autobiografica. Quasi tutti i racconti dal poeta livornese (oggi raccolti da Garzanti nei Racconti scritti per forza a cura di A. Dei) sono spesso incompiuti o abbozzati proprio come i percorsi frammentati di gran parte della prosa leopardiana (dai Ricordi alle Memorie della mia vita). Oltre che nella poesia, è anzitutto in quel genio auto-interpretativo che va cercata la fratellanza vera di Caproni con Leopardi. In un’atmosfera senz’altro più onirica, la voce narrante del Chiaro di Luna caproniano ricorda quel giovane figlio del conte Monaldo che nel 1817, infatuato dall’incontro con la cugina Gertrude Cassi, avrebbe sperimentato il dramma della perdita nel Diario del primo amore (qui partenza, in Caproni decesso). Per entrambi i poeti l’esperienza d’amore (e con lei della colpa) si definisce per assenza nello spazio transitivo della narrazione che dà vita alla poesia. Scrivendo nel 1962 su René Char, Caproni sorpassava curiosamente Petrarca per proiettare il pensiero direttamente su Leopardi: “Non c’è proprio nessun rapporto tra il radicale pessimismo del grande Leopardi e il “pessimismo” di Char, teso ad affermare […] il pieno adempimento dell’umana sorte? Ma certi quadri leopardiani esaltanti la vita (Primavera d’intorno / Brilla nell’aria, e per li campi esulta, / Sì ch’ha mirarla intenerisce il core. / […] Gli altri augelli contenti, a gara insieme / per lo libero ciel fan mille giri) non vedo perché non dovrebbero piacere, per la loro luce, a Char”. Continua a leggere

Remember

Oggi ricordiamo il disastro del Titanic che il 14 Aprile ha trovato la sua fine.
Questo video onora gli uomini che hanno lavorato alla costruzione della nave e
ricorda coloro che sono morti in quella terribile notte.

[youtube_sc url=”http://www.youtube.com/watch?v=OqdOAoeGuec”]

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Nam June Paik in Italia.

“L’artista è un uomo di tipo particolare, ma anche ogni uomo è un artista di tipo particolare”
N. J. Paik

A Modena fino al 2 giugno  è possibile visitare la mostra dell’artista coreano Nam June Paik. Pioniere della video arte ma anche compositore, performer  e grande sperimentatore mediatico, è stato uno dei protagonisti di spicco del movimento Fluxus. Questo movimento concepiva  l’arte come flusso continuo di esperienze reali.  La regola di base era la massima libertà espressiva: “tutti possono fare arte e  tutto può essere arte”. Per Fluxus l’arte era un’esperienza totale e quotidiana in un fluire continuo di situazioni, spostano azioni quotidiane sulla scena facendole diventare esse stesse delle opere. L’intenzione è quella di rinnovare i contenuti dell’arte in modo che abbia sempre qualcosa da dire anche rispetto alla vita di tutti i giorni.  Ed è così il medium elettronico diventa un “luogo di convergenza” e di estensione reciproca di linguaggi che hanno un’altra struttura e un’altra provenienza rispetto a quella elettronica (il teatro, la performance, il cinema, la fotografia, la danza, la musica, etc). Il video è sia un linguaggio a sé stante, ma anche un luogo di estensione tra altri linguaggi.
La mostra segna il legame che intercorre tra l’artista coreano e il nostro paese, iniziato negli anni della sua giovinezza quando si appassiona all’opera lirica, a suo dire il metro di misura durante le sue lavorazioni con l’arte elettronica. Il suo intento è quello di ricreare movimenti, spazi e musiche che appartengono all’opera lirica, le sue opere vengono da lui stesso definite “Opere elettroniche”.
Il suo periodo di maggior presenza in Italia  fu  dalla seconda metà degli anni ’80 a tutto il primo lustro degli anni ’90 e coinciderà con assegnazione del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1993.  In questo periodo Paik stabilirà  numerosi contatti con galleristi e collezionisti, fra tutti è ricordato  Carlo Cattelani, modenese, da dove infatti provengono numerose opere  selezionate  per questa esposizione.
La mostra presenta in due grandi sale, numerosi documenti, fotografie, testimonianze materiali dell’artista che tracciano un percorso iconografico dei lavori in larga parte condotti in collaborazione con la violoncellista  Charlotte Moorman amica e collaboratrice di molti noti artisti della seconda metà del Novecento, tra questi oltre a Nam June Paik, John Cage, Joseph Beuys, Yoko Ono e molti altri.
La mostra con le sue numerose fotografie e video che documentano gli anni vissuti da Paik ci immergere in un periodo fortemente vitale da un punto di vista artistico, sociale e politico, di grande sperimentazione e attenzione alle azioni materiale che venivano compiute, dove si era capaci di attribuire significati alle azione ai gesti e alle parole.

Galleria civica di Modena
Palazzo Santa Margherita, Palazzina dei Giardini
corso Canalgrande, Modena

16 febbraio – 2 giugno 2013
Orari: mercoledì-venerdì 10.30-13.00; 16.00-19.30
sabato, domenica e festivi 10.30-19.30
lunedì e martedì chiuso
Ingresso gratuito
Info: +39 059 2032911/2032940
www.galleriacivicadimodena.it

a cura di
Francesca Luslini

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Ecodesign, sogni di cartone!

“Sogni di cartonela sostenibile leggerezza del design”  dal 10 al 25 aprile a Villa Recalcati, Varese. E’ la prima mostra personale dedicata all’architetto e designer Giorgio Caporaso ed è una prima volta per la città di Varese che ospita uno degli  eventi più attesi nel campo del design.

Lo Caporaso Design è uno studio creativo che spazia dall’architettura al design alla grafica. Uno studio flessibile alla continua ricerca di idee e soluzioni sempre innovative. Nel corso degli anni ha acquisito una vasta esperienza nella progettazione architettonica, prestando particolare attenzione all’ambiente e alle tematiche energetiche.

La mostra è un percorso in cui estetica ed ecosostenibilità convivono. Un viaggio creativo animato da un’anima eco-friendly, dove i protagonisti sono i materiali riciclati e riciclabili, come il cartone e altri materiali naturali.

In mostra oggetti e arredi provenienti dalla Ecodesign Collection dell’architetto. Oggetti di uso quotidiano, come il sistema More, la chaise-longue X2Chair e il versatile ToBe, rispettosi dell’ambiente e funzionali, in grado di portare uno stile green nella vita di tutti i giorni senza rinunciare ad un design sofisticato ed elegante.

“Sogni di cartone – la sostenibile leggerezza del design” è uno dei tanti eventi del Fuori Salone durante il Design Week di Milano.

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