La regina Zaha Hadid

La chiamavano architetto di carta perché i suoi edifici non si realizzavano mai.
Oggi Hadid, la prima donna premio Pritzker, lascia il suo marchio in tutto il mondo!

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Laureata alla prestigiosa Architectural Association nel 1977, appassionata discepola di insegnanti trasgressivi come l’olandese Rem Koolhaas, Zaha Hadid dovette battagliare non poco per convincere il mondo che i suoi avveniristici progetti erano in realtà concreti simulacri dell’evoluzione architettonica. Causa dell’iniziale reticenza, un estro creativo sempre pronto a trovare nuove argomentazioni per raccontare un luogo, una società, una visione. Tutti gli architetti devono lottare per affermarsi in un panorama tanto vasto, complesso e concorrenziale, ma Hadid ha faticato più di altri e certamente non per carenze professionali. Il suo singolare rifiuto di scendere a compromessi stilistici che non le appartengono ed il suo temperamento da uragano, nato dall’esigenza di emergere in un settore ancora per certi versi molto maschile, si sono rivelati allo stesso tempo il punto debole ed il punto forte del suo successo.

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Come suo padre, lei sapeva che avrebbe potuto dare molto per il proprio paese, ma in Iraq più che altrove una donna non aveva alcuna opportunità concreta di emergere nel settore dell’architettura. Ecco perchè  Hadid divenne figlia adottiva della Londra progressista degli anni ‘70.
Una biografia certamente eloquente delle radici culturali e personali dell’architetto, da cui sono germogliati il carattere e la creatività che tutt’oggi la distinguono sulla scena internazionale.
Oltre al suo transnazionalismo concettuale, sappiamo che una volta integrata a Londra, ha incontrato una persona che in qualche modo l’ha aiutata a comprendere meglio il suo orientamento stilistico e professionale. Si tratta di Rem Koolhaas. Lei stessa ricorda come fondamentale l’esperienza all’Architectural Association e successivamente nello studio di Koolhaas. “L’Architectural Association è stato per me il posto ideale in cui coltivare le mie ambizioni in totale autonomia. Gli insegnanti che ho incontrato rifiutavano come me il post-modernismo kitsch che andava per la maggiore. Loro pensavano ad un’architettura che incarnasse il caos della modernità nelle sue diverse forme. Koolhaas, tra tutti gli insegnanti, è colui che maggiormente ha contribuito a disegnare l’architetto che sono.  Lui che ha portato in superficie l’idea che conservavo nel profondo di un’ espressione architettonica neo-moderna. Quando poi mi sono laureata e Koolhaas mi offrì di diventare la sua partner professionale nell’ Office for Metropolitan Architecture, lui capì subito che quanto aveva seminato nel ego, era già germogliato in una creatività alla quale nemmeno lui riusciva a dare una definizione. Mi descrisse come un pianeta che gira vorticosamente intorno alla propria orbita. Quel che successe dopo si sa, io non rimasi nel laboratorio a lungo perchè sentivo di dovermi liberare da qualsiasi vincolo che potesse limitare il mio estro. Ero come una interpretazione illimitata di significati, senza alcun controllo, in apparenza”.
Essere donna sembra non abbia mai pesato troppo sullo sviluppo della carriera professionale di Zaha Hadid, anche se esiste una precisa consapevolezza delle difficoltà che una donna vive per emergere. “Fateci caso: all’università ci sono, in media, metà studenti e metà studentesse. Poi, quando comincia la professione, le donne quasi spariscono. Diventano spesso collaboratrici di mariti o compagni, lavorano in grandi studi dove finiscono però spesso in un ruolo marginale rispetto ai colleghi maschi. E magari, a vincere il Pritzker, sono i mariti o i compagni: è successo con Robert Venturi. La giuria si è completamente dimenticata di Denise Scott Brown, sua compagna e collaboratrice insostituibile”.
Per passare alle componenti emozionali del lavoro, si nota come Zaha Hadid sa trasmettere visivamente il senso di sconfinamento che rende inconfondibile il suo stile architettonico.
La visione delle opere mostra una predilezione per quelle che la stessa Hadid definisce linee fluide. Questo stile si contrappone ad una certa appariscenza tipica di buona parte dell’architettura contemporanea. “Le linee fluide non sono altro che l’adattamento della forma ad un nuovo concetto di spazio più dinamico, flessibile e alternativo. Una prospettiva geometrica multipla e frammentata, che rivela l’effettiva opinabilità dei numeri e delle formule. Singolare che questa affermazione provenga da una diplomata in matematica, vero? Eppure io credo che la fluidità sia la forma che meglio rappresenta il caos dell’età moderna a cui accennavo prima. Per quanto riguarda l’appariscenza dell’architettura contemporanea, potrei forse sembrare irritante, ma ritengo che l’esibizione delle forme e dei materiali corrisponda ad un monolitico vuoto espressive.

“D” inserto de “la Repubblica”

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