I pianti della liberazione 1961

Bruno Fonzi
(1914-1976)

– …Absolve quaesumus Domine, animam famulae tuae… Nicolae…ab omni vinculo delictorum…
«Non c’è il femminile di Nicola, – pensò il Commendator Mastrolungo, – in italiano si può dire Nicolina, Nicoletta, ma in latino?» Smosse un po’ le ginocchia indolenzite, poi si assicurò che il fazzoletto che aveva disteso sull’inginocchiatoio per preservarsi i calzoni non si fosse spostato.
– Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculoooroum…
– Aaaaaamen! – cantò il Commendatore con gli atri. Ma non udì la voce di Toruccio far coro. Si volse poco a guardare il figlio inginocchiato accanto a lui, e si accorse che, la faccia nascosta tra le mani, aveva ripreso a piangere silenziosamente. Ne fu un poco urtato. La sensività dimostrata dal ragazzo in quest’occasione gli appariva esagerata. Ma subito l’amore paterno ebbe la meglio su quel primo moto; alzò una mano e gliela passò sui capelli con un gesto affettuoso, che però il ragazzo non parve nemmeno sentire. La cappella era quasi buia.
Gli otto ceri che ardevano ai lati del catafalco ne dissipavano le ombre per una striscia di non più di un paio di metri intorno; solo le due cotte, del vecchio prete, altissimo e curvo, e del chierico, uno smunto ragazzetto d’una decina d’anni, spiccavano biancastre in tutto quel nero. Delle due file di banchi che fiancheggiavano il catafalco, quella luce gialla e incerta lambiva appena il primo banco, cui erano inginocchiate una mezza dozzina di suore, su quello di destra; sull’altro, altrettante ricoverate o pensionanti dell’Istituto; ma altre ancora, piú che intravedersi, se ne indovinava nei banchi dietro, da un fitto martellare di colpi di tosse, dai quasi continui raschiamenti e scatarrii di vecchie gole, nonché dal coro piú pieno che da quella parte si levava ai responsori.

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