il mare del tempo

tratto da nostro lunedì numero 4 – prima serie – scataglini
[prima parte]

Colloquio con Franco Scataglini
Gennaio 1990

Pomeriggio in una casa anconetana
ojos scataglini
Il senso del mare per te, nella sua temporalità, nell’esperienza, nella memoria.
Mi viene in mente un tema che feci da ragazzino (la terza, la quarta elementare): rammento che diedi, del mare, un’immagine profondamente triste perchè la associavo all’infanzia
e al rapporto con le cose che non era ludico, ben sì pensoso e giudicante.
Allora, per esempio, mia madre mi portava alla Salute (una spiaggia di povera gente con, vicina, una costruzione che chiamavano “Lo Stabilimento”) e mi annodava in testa
un fazzoletto perchè avevo un fastidiosissimo rapporto con il sole e, con il mare, inquietante. Qualche anno dopo, in Sicilia, mi sorprese vedere mio fratello entrare in acqua e nuotare: non lo aveva mai fatto. Rammento l’acqua limpida di Barcellona (si vedeva Milazzo, la punta lontana) e lui che nuotava come un piccolo dio. Invece io, con il mio senso angoscioso…sicuramente era con la mia corporalità che non stavo bene.
Per molto tempo il mare l’ho sentito come una gioia denegata; non mi era consentito quell’abbandono. Soprattutto durante l’estate. Più tardi, quando avrò una differente percezione del corpo, un’altra coscienza, le cose si modificheranno radicalmente.
Mi fai pensare a quello che dice Michelstaedter del mare rilevando una contraddizione:
non puoi guardarlo e, insieme, starci dentro. Quando lo guardi dall’alto, è una promessa
di appagamento senza fondo perchè l’immagine è negli occhi: ci vai dentro ed è una cosa banale, a parte il piacere; si perde il senso della totalità. Noi non pensiamo mai alla singola onda, ma alla distesa. Come per il prato: lo osservi e senti il desiderio di buttartici dentro, di abbracciarlo; non appena lo fai, non è più prato. Questa contraddizione, in me, si relava al bambino disturbato, nevrotico, più portato a pensare che a giocare, pensare giudicando il mondo che aveva intorno a sé.
C’è un altro aspetto del mare che implica il pericolo mortale: ho visto, nella mia infanzia, portare a riva il corpo di un’annegato. Ne conservai una memoria sconvolgente che fornì anche pretesti al mio rifiuto nevrotico del mare. Va però detto che, di fronte alla sua forza, ho sempre nutrito una particolarissima predilezione, sebbene possa sembrare
una venatura romantica. L’acqua tormentata, torbida, la massa che si muove (le onde,
gli spruzzi, l’altezza) mi danno un’ebrezza interiore. Vuol dire, quindi, che la parte energica di me trova un appagamento contemplativo. Ho sempre percepito un grido del mare come richiamo senza memoria, senza fondo…
Un grido perpetuo.
Perpetuo! esatto. Un grido perpetuo. Il mare ludico vissuto nella impossibilità…

foto di Antonella Morico

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