LAMU OUT DOORS

Il frottage è una tecnica grafica che molti conoscono. Basta sovrapporre un foglio di carta su di una superficie in rilievo e sfregare una matita grassa sul foglio: il rilievo dell’oggetto appare in pochi minuti con un grado di definizione spesso sbalorditivo.
La sorpresa e l’automatismo del procedimento non sfuggirono a Marx Ernst: per primo, utilizzandolo concettualmente, egli lo incluse tra i divertissment surrealisti. La capacità di evocare in modo quasi tattile superfici ed oggetti, rende il frottage adatto al mio scopo.
Non si tratta di raffigurare più o meno oggettivamente la bellezza e la complessità degli intagli che caratterizzano gli antichi portoni di legno dei palazzi di Lamu; si tratta invece, di dare forma alle emozioni che suscitano
Il mio desiderio di penetrare, almeno con lo sguardo, le imponenti pareti di pietra corallina dei palazzi, di intravedere -attraverso i portoni dischiusi, gli shamba fioriti e le scale, le logge e le stanze, si misura con  la possibilità che quei portoni neri, potrebbero offrire.
Ma quelle porte rimangono ostinatamente chiuse: offrono, come compenso, la contemplazione delle loro superfici intagliate; e ribadiscono la loro funzione di mute sentinelle poste a difesa. Nel dedalo dei vicoli si aggira la folla urlante dei bottegai, bambini, perdigiorno, procacciatori improbabili di tutto, turisti inadatti, scarni animali da cortile in fuga, asini.
Gli asini a Lamu sono quasi 2000.
Sono il solo mezzo di trasporto terrestre, per merci e, talvolta, persone.
Il raglio improvviso e assordante, i loro escrementi scuri e rotondi disseminati ovunque,  tradiscono il loro avvicinarsi imminente, il passaggio, la presenza dietro l’angolo.
Capisco subito il motivo della perenne chiusura di porte e portoni.
Verifico una volta di più il bisogno dei ricchi -antichi padroni arabi o recenti investitori occidentali- di proteggere un’intimità che immagino misteriosa, di celare una prosperità gravida di impenetrabili segreti. E su quelle sentinelle di legno nero e intagliato, sul loro negato aprirsi all’esterno, si coagulano le mie curiosità e si realizza il tentativo di appropriarmi empaticamente (e soltanto), di un frammento di storia.
La storia di una società resa fiorente per 300 anni dai commerci e dalla tratta degli schiavi, quella storia di potenza e ricchezza, testimoniata dall’imponenza architettonica e incarnata nello splendore dell’intaglio, si trasferisce e si fissa frammentariamente sui poveri fogli di carta che appoggio ai portoni e sui quali sfrego un pezzo di carbone. (Nel tentativo di produrre, quanto meno, un personale souvenir, qualcosa da riconsiderare nel tempo).
Non c’è spazio nei vicoli, sto attento a dove metto i piedi, la folla di curiosi mi guarda perplessa. Devo dare strada agli asini prima di catturare il dettaglio che mi interessa, fissarlo sul foglio senza riflettere, automaticamente. Muovermi in fretta: arrotolo il foglio e mi sposto verso un altro portone, senza neanche valutare il risultato ottenuto.
Più tardi, nella solitudine luminosa della mia stanza d’albergo, appenderò con calma il foglio alla parete, contemplando l’esito di due o tre ore di lavoro condotto per strada.

Lamu, Kenya, luglio 2009

didascalia per le immagini:
frottage, matita e carbone su carta da pacchi locale.
Serie di 20 disegni, cm 70×100 ciascuno

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