“Paradosso decorativo” di Lucilio Santoni

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“Paradosso decorativo”
di Lucilio Santoni
colloquio con Gloria Gradassi
tratto da nostro lunedì
n° 1 scene – prima serie

In una battuta, qual’è la prima regola nella pittura di Consorti?
Direi che l’instabilità linguistica è la regola della pittura di Paolo Consorti, anzi la pittura è il contenitore di tale instabilità che trova nell’immagine finale un punto di equilibrio.

Come si inserisce Consorti nel panorama artistico degli ultimi anni?
Gli anni novanta hanno portato in campo una pittura rigenerata secondo molteplici opzioni, dislocate tra l’aggressività della pittura “bad“ inglese e una sorta di ritorno a una figurazione a volte accademica e forse noiosa. Parallelamente abbiamo assistito ad una vera e propria esplosione della fotografia, sostenuta dalla dilagante elaborazione elettronica, che ha proposto e propone una forbice estesissima tra immagini perfettamente realistiche, di cronaca spoglia, e un’ipotesi di fanta-realtà prettamente cinematografica. La performance ha rinnovato la sua vitalità lavorando con accanimento intorno al corpo, indagando comunque il reale tra dimensione sociologica e ossessione privata: sono queste nuove “maniere”, evolutesi da una necessità di forzare i limiti del linguaggio, espanderlo ed estenderlo verso nuove acquisizioni. La pittura, che rispetto agli altri linguaggi è quella che in modo minore si è discostata dal suo tradizionale tracciato, si trova oggi nella necessità di confrontarsi ed aprirsi ad una contaminazione totale con meccanismi tradizionalmente ad essa estranei. Non sembra sufficiente allora la volontà di riaffermare la pittura al di fuori di un confronto viscerale con quanto altre opzioni linguistiche sperimentano in maniera dilagante. La pittura perderebbe inevitabilmente questo confronto, restando comunque sempre la Cenerentola della scena artistica, anacronistica e nostalgica. Tutto il lavoro di Paolo Consorti intorno alla pittura parte da questa necessità, e rappresenta un paradosso decorativo nella misura in cui l’instabilità linguistica è contenuta dentro la cornice di un quadro.

Vorresti tentare di spiegare i lineamenti del lavoro di Consorti?
La pittura è il contenitore ambiguo di una somma di slittamenti, calibrati e miscelati in modo tale che di essi si perdano le tracce. Il lavoro nasce da un prelevamento nella materia del quotidiano, tra persone comuni, oggetti, brandelli di natura, organizzati in un set in cui viene messa in scena un’azione. Qui agisce già una decontestualizzazione rispetto al reale e la successiva operazione fotografica è il primo filtro tecnologico della visione. A questo prelevamento si aggiunge poi l’elaborazione elettronica, operazione in cui lavora l’occhio pittorico.
I modi di elaborare un’immagine sono molteplici, c’è l’occhio del disegnatore, quello puramente digitale, quello totalmente fotografico, quello prevalentemente grafico e c’è l’occhio pittorico. In realtà, nel lavoro di Paolo Consorti, la pittura comincia molto prima dell’intervento sulla tela. Già in parte consumata all’interno dell’elaborazione elettronica, e ancora prima sul set fotografico nella scelta dei tessuti per i costumi usati nella performance e nel calibrare la luce.

Senza accorgercene sia­mo arrivati alla scena.
Passaggi sottili che si accavallano giocati nel­­­la prospettiva di una pittura che non ha una genesi purista: nasce da un percorso già accidentato, da una condivisione estetica dell’immagine tra dipinto e fotografia, che include anche la fluidità e l’impatto scenico della visione cinematografica. Alla fine la tela è il paradosso decorativo sul quale s’imprime un’immagine transpittorica, risolta in una superficie cromatica preziosa e sottile, priva di spessori materici e dall’apparenza artificiale.

Direi che ne risulta una sorta di scenografia straniante, e forse straniata.
L’immagine che risulta non è realistica nè fantastica, non è fotografica nè in stile cartoon, è totalmente ibrida e inclassificabile. Consorti mixa procedimenti differenti che conferiscono all’immagine un nuovo equilibrio frutto di contaminazioni linguistiche, il cui dosaggio calibrato annulla ogni prevalenza. Il quadro è scatto fotografico, è frame di video a bassa risoluzione, è l’immagine di un’azione, è set e pellicola cinematografica, è pittura, è infine “transpittura”, oltre ogni vicinanza alla gestualità e matericità “bad”, e alle convenzioni della figurazione accademica, con le quali nulla condivide, essendo molto più prossima ad altri procedimenti linguistici. Questa operazione sul linguaggio ha l’importanza di svincolare la pittura da convenzioni datate, salvandola da accademismo, strettoia dei generi, decadenti definizioni da malessere generazionale, confronti esteriori e primitivi con altri media. La realtà a cui appare più vicina è quella degli effetti speciali cinematografici che cortocircuitano mondi fantastico e realismo: siamo in una nuova era della pittura, un’era iniziata dall’analisi impressionista e post-impressionista, passata attraverso la nascita della fotografia, del cinema, Warhol, la televisione, l’iperrealismo, Richter, e giunta ora, alimentandosi visceralmente da fonti altre, alla sua fase evoluta.

Una pittura lontana dalla pittura (intesa tradizionalmente)?
La situazione è una mise en scene post-metafisica, che si collega alla tradizione del teatro barocco e secentesco nella misura in cui questo teatro ci parla utilizzando un decoratismo ossessivo, ci propone messaggi dissimulati sotto il velo del conformismo. La pittura o meglio il paradosso decorativo è la provocazione di questa pittura che in realtà nega la pittura in senso tradizionale essendo un processo complicatissimo che unisce stratagemmi teatrali e realtà metafisica sotto un’immagine composta secondo stilemi in apparenza tradizionali ma comunque di grande impatto visivo.

Un po’ come il vecchio teatro di posa che si è trasformato in scenografia virtuale.
Beh sì, lo spazio nel lavoro di Consorti è inteso in senso dialettico, cioè come procedimento mentale. C’è un voluto decoratismo eccessivo, un senso dell’horror vacui nella composizione dell’immagine.

Se ben comprendo, non si tratta di distruggere quanto c’è di passato, ma di costruire il futuro con l’occhio attento a quanto si è già fatto ieri. Di costruire e perfezionare soprattutto quegli aspetti della tecnologia che possono portarci a rendere valido il grande viaggio verso l’universo, a riveder le stelle.
Così è.

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