Storia d’amore e di anarchia

Estratto da nostro lunedì
numero 2 – nuova serie

Paolo Volponi e Urbino

carla cerati 1

Storia d’amore e di anarchia

L’ultimo Volponi è un pamphlet contro l’Italia unita di Teano
Enzo Siciliano
Il Mondo, 19.06.1975 n.25

Paolo Volponi distende al di sotto della concezione fantastica dei protagonisti di Il sipario ducale un’idea storico-filosofica tutt’affatto polemica. “La storia è piatta, almeno da cento anni dopo la morte di Cristo. Non muta nulla: solo qualche buco è stato fatto qua e là. La storia non c’è: tutto è uguale sotto la devozione … La storia non ci tocca, nemmeno quella d’Italia. Questa è il telone che soffoca tutto” (pp.92-93). “Un colossale casino tricolore. L’Italia non c’è; l’Italia è morta a Teano” (p.107). “La storia, non quella del potere, ma quella che sta all’opposizione, in negativo: quella degli sconfitti, di Cattaneo, di Pisacane serve per sapere come fuggire e dove ripararsi” (p.212). “L’Inghilterra, la Spagna, la Francia, la Germania, a turno, adesso l’America, hanno sempre fatto pagare al resto del mondo il peso della loro unità. L’Italia, più stupida e infelice, se l’è rovesciata addosso come una pignatta d’acqua bollente” (p.234). La storia è, dunque, un nonsenso; l’Italia è uno stivalone “calzato male”. L’unità italiana, quella di Cavour e dei Savoia, andrebbe gettata a mare. Chi ha seguito quanto Paolo Volponi ha detto e fatto scrivere da alcuni anni in più d’una intervista (cfr. anche “Il Mondo”, 7 gennaio 1972) sa che queste idee in lui non sono nuove e serpeggiano in Corporale dandogli linfa. In Il sipario ducale tendono ad una maggiore, forse risolutiva, emblematizzazione.

La vicenda, ambientata in una Urbino realissima e poetica, narrata in terza persona per capitoli alterni, trova per un verso perno in una coppia di vecchi anarchici sopravvissuti alla guerra civile spagnola, il prof Subissoni e la sua Vivés, che nei giorni seguiti alla strage di Piazza Fontana a Milano, il dicembre ’69, lei malatissima, si travagliano in una ridda di ipotesi utopiche, rivolte e ingenue esaltazioni, per il desiderio di vedere scossa, finalmente, la stupida Italia unita di Teano. Ma Vivés muore, e Subissoni è travolto da una malinconia in cui dolore e passione ideale s’accapigliano fin quasi ad annientarlo. Secondo perno del racconto è, appunto,  la stupida Italia teanina, rappresentata “in vitro” attraverso Oddino Oddi-Semproni e le sue zie, tutti nobili urbinati, che presi da un sogno mai placato di sciocca grandezza recitano i loro vani rituali familiari, sollecitati da un  losco “chauffeur”, senza capire in quale mondo si viva. Le due vicende si specchiano: sul finale si intrecciano, sono il voto duplicato d’una provinciale demenza, d’una teatralità cui Volponi vede costretta l’Italia di oggi, impotente e immiserita, pur con le sue speranze.

Quanti hanno amato l’originalissimo delirio di Corporale troveranno Il sipario ducale impigliato in alcuni modelli letterari e linguistici non so quanto preordinati (Sorelle Materassi di Palazzeschi, San Giorgio in casa Brocchi e varie altre pagine di Gadda), epperò non potranno negare che questo nuovo romanzo di Volponi, quasi il presagio d’una svolta, è stillante di ilarità, è invaso dall’ironia e dal grottesco anche negli accenti tragici. Non senti lo scricchiolio del pennino sulla pagina quanto l’incalzare d’una viva voce che, divertita, manda allo sbaraglio prole e sintassi, e qui affastella vibranti rime interne, lì ancor più vibranti anacoluti, e laggiù strambotti di insulti felicemente italici.
Al centro di tutto, incastonata di commosse e arcane emozioni, un’ardua storia d’amore senile, quella di Subissoni e Vivés: lei in stato preagonico, lui orbo, malcerto sulle gambe, tento su da cento e mille tazze di caffè. (Alla corrispettiva storia amorosa fra Oddino e la piccola puttana contadina, Dirce, credo di meno; mentre mi appare di pura, felicissima ricreazione gaddiana la scoperta, ad  esempio, che vien fatta della membrutissima virilità del medesimo Oddino.) Certo è che l’apparire delle nudità di Vivés moribonda, i suoi estremi deliqui hanno qualcosa di grandiosamente doloroso.
Ma torniamo alla passione civile e al pamphlet antiunitario che anima le invettive di Subissoni. Per quanto presentissimi, coi loro contenuti, mi sembra spariscano dietro la violenza lirica di altre meno dichiarate sollecitazioni: l’amore e la morte di Vivés appunto; il dispiegarsi della poesia che Urbino innevata e ventosa alimenta nello scrittore; e infine il gusto di lui per una scrittura corposa e dirompente, immaginosa  ed ellittica. Più che altrove, più che nei romanzi precedenti dov’era la prima persona a governare il racconto, qui è protagonista Volponi, è protagonista il suo linguaggio sensuoso e avido, col quale, come disse Piovene, assapora, divora le cose e le restituisce tutte sue in un dettato ingemmato di barbariche luci.

a paolo
gabriele ghiandoni

padrone dello spazio, signore del cielo

È git via anca Paolo, interrotta la strada per Roma.
Si è fermato sulla collina, alle porte dell’Appennino.
Da lassù le palombe solitarie cercano di raggiungere il
mare; all’improvviso si accorgono di avere il freddo nel
cuore (da sota l’ala la cicala grida il suo pianto).

Sottoterra, pesante come pietra, Paolo saluta gli amici
che stanno all’ombra del muro della vita.

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15 pensieri su “Storia d’amore e di anarchia

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