Valentina Capecci – Lui è mio e lo rivoglio

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Stamattina, prima di chiudermi in ufficio, sono passata a controllare la ristrutturazione del casale dei marchesi (o conti, o duchi, vabbè, chi se ne frega dell’araldica) Girlandi-Roni e l’anziana proprietaria, nel girovagare tra i locali in fase di abbellimento ad opera dei miei piastrellisti e decoratori, chiacchierando del più e del meno mi ha fatto le lastre. Cioè, sa perfettamente che sono l’architetto Claudia Clap dello studio Ravelli, che avendo occhi e capelli neri, una “leggera” inflessione meridionale e non essendo alta due metri non vengo da Oslo, ma lei aveva voglia di approfondire e siccome il cliente va possibilmente accontentato ho dovuto vincere la mia rinomata ritrosia e rispondere con buona grazia alle sue impertinenti domande. Corredate di capziosità del tipo: come mai una figlia unica di madre vedova preferisce vivere nel settentrione invece di tornare al calduccio del paesello natio? Le ho spiegato che al sud non c’è lavoro, che mia madre se la contende una cospicua e invadente parentela mentre io, quassù, oltre a un’occupazione dignitosa ho trovato anche l’amore. Ha voluto approfondire l’argomento sentimentale e poi: come mai a trentaquattro anni, di cui quasi dieci di fidanzamento, non smanio per sposarmi? Come mai io e il mio compagno abbiamo adottato la regola dell’ognuno a casa sua invece di convivere? Come mai non faccio sport e pratico solo hobby sedentari e insalubri? Come mai qua e come mai là, mi ha torchiato facendo tintinnare le pesanti collane, come mai su e come mai giù, che quando sono risalita in macchina ero più spossata del giorno che da sola ho montato una cucina dell’Ikea. Per non parlare delle inani giaculatorie sul suo antiquato stemma gentilizio, vanitosamente cesellato sopra architravi e argenteria, o il panegirico sull’erede Giorgio, giovane imprenditore orgoglio di mammà, che io ho immaginato con l’erre moscia e il foulard rigonfio al collo, nelle scuderie in cachemire, l’abbronzatura da barca, il classico sciupafemmine griffatissimo che si prende a pugni con l’italiano, non sa mettere due parole in fila e fa l’imprenditore come io faccio la mannequin. Zampettare tra off-shore e dressage, cocktail e vernissage non si chiama lavoro, si chiama cazzeggio, e a noi plebei pistoni e motore della società civile i privilegiati per dinastia ci stanno un cicinino sulle palle.

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Valentina Capecci nata ad Ascoli Piceno, laureata in giurisprudenza è sceneggiatrice di film per il cinema: “Se fossi in te” “L’uomo perfetto” “È già ieri” “Como estrella fugages” e fiction TV per Rai e Mediaset come “Non lasciamoci più” “Il commissario” “Prigioniere del cuore” “Caterina e le sue figlie” “I Cesaroni” “Mogli a pezzi” “Sangue caldo” “Il commissario Manara” “Il sangue e la rosa” “I delitti del cuoco” “Provaci ancora Prof” “Pupetta” “Rosso San Valentino” “Baciamo le mani”. Ha scritto per il teatro: “Le parole non contano” “Souvenir” “Le confidenze del pene” “Devo dirti una cosa” e racconti, ha curato la raccolta “Omicidi all’italiana” ed. Colorado Noir, pubblicato “Gente Normale” Marsilio Ed., l’E.book “Lui è mio e lo rivoglio” e di prossima uscita “Ti voglio bene fratello” per Fandango Libri.

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