Collezione e arredamento

Guardate cosa ha creato la Dedar, editore tessile con base nel comasco e punti vendita in tutto il mondo, collaborando con il bravissimo designer americano, Stephen Burks.

Questi nuovi oggetti sono della collezione di passamanerie Babà e possono essere definiti pouf, sgabelli o comodini, a seconda dei gusti.

Ogni struttura è composta da una sezione che va da 30 a 60 segmenti di corda, legati da nove diversi nastri; solo un fil rouge è passato nella cruna della rusticità di una pesante corda marina e cinto con originalità da un corsetto chiuso da una zip.

Partendo da un gioco esplorativo, sono arrivato a un lavoro sartoriale con queste cinture cucite a mano”, dichiara Stephen Burks.

Stabilizzati da un materiale come il caucciù nero, questi tre raffinati oggetti entrano nel mondo del design vestiti di pura fantasia couture “il cui aspetto aleatorio aggiunge a quella sensazione selvaggia una grazia addomesticata”.

Dedar ci sorprende trovando una perfetta armonia tra artigianato e tecnologia grazie ad oltre 300 prodotti-tessuti (velluto, seta, lino, raffia, tessuti tecnologici, anche ignifughi e per esterni), carte da parati e passamanerie.

Stephen Burks, che ha fondato il suo studio Ready Made Projects a New York , è spesso in viaggio tra Senegal, India, Messico, Australia, Perù, Kenya, Ruanda, Sudafrica e collabora con gli artigiani per assorbire la loro abilità manuale e trasferirla nel suo lavoro.

E voi che ne pensate di questi oggetti, li mettereste nella vostra casa?

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Antonella Taravella- inediti 2013

tratto da una silloge in divenire

c’è sole ed è tanto – in alto
come un lampione o alberi
senza voglia di spine – in spinta
dal basso dipendo dai numeri
conto sulle dita

come una piccola fata turchina
disimpegno calcare coccolandomi
i pollici in bocca

rammendo le mani legate
stipulo oltraggi come passi di corvi
smanio pesantemente il mio corpo
mi palpo lasciando saliva sui bordi

sono un veleno intarsiato nel rumore
pieno delle maree

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Giorgio Filippini

Foto pubblicate su “Nostro Lunedì” numero dieci
dicembre 2008

Giogio Filippini nasce a Foligno (PG) nel 1958

Attualmente vive ad Ancona dove svolge la sua attività di fotografo professionista.
Eccletico e abituato a lavorare su più fronti, nasce inizialmente come foto reporter di viaggio ed ambiente, ma ben presto sposta la sua attenzione anche verso la fotografia di architteture ed interni, in still-life, riproduzione di opere d’arte e gastronomia
Collabora con le più importanti riviste nazionali del settore viaggi, tra le quali in maniera continuativa, con “Bell’Italia” e “Bell’Europa” con vari editori del settore turismo e con le più importanti realtà museali del centro Italia
Ha costruito negli anni un notevole archivio di immagini relative alle regione Marche e Umbria riguardanti città, borghi, tradizioni, cultura, gastronomia e arte.

giorgiofilippini.it
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Valeriano Trubbiani, De rerum fabula

 

La parola scolpita s’intitola  un volume del 2008 di Valeriano Trubbiani (Macerata, 1937) che raccoglie testi scelti dal 1980 al 2007; in precedenza erano apparsi Parola di scultore (2003) e Scultura nella parola (2006). Il labirinto, che in un cinquantennio di attività Trubbiani è venuto costruendo, ha come punti estremi del percorso la scultura e la parola, insegne dominanti a salvaguardia dei rispettivi “silenzi”, tra materia e scrittura, all’interno dei quali si interrogano le profonde ragioni che generano la forma e la voce. I “padiglioni” allestiti – i teatri del suo racconto contemporaneo – provengono anche da una deviazione dell’etimo di “labirinto” nell’accezione data, insieme, da un poeta che gli è caro, Edoardo Sanguineti, il quale, nei primi anni Cinquanta, definì l’esordio proprio con un libro di versi intitolato Laborintus, e da un antico trattato di retorica di Everardo il Tedesco (sec.XIII) che in epigrafe conteneva questo: “Titulus est / Laborintus / quasi laborem / habens intus” (“Il titolo è / Laborintus / come se fatica / avesse al suo interno.”). La cosa si attaglia a questo artista di Villa Potenza perché scultura e parola emergono da uno scavo profondo e, sebbene le tecniche siano diversissime, il “labor” è identico, nella tenace, ossessiva, accanita ricerca di una solidità che contrasti il niente, il perenne cancellare del mondo. Trubbiani ha ingaggiato la manzoniana “guerra illustre contro il tempo” nei confronti della storia, consapevole che ogni modernità è tale proprio perché contempla tutto l’antico e tenta, come può, di salvare e difendere reperti, frammenti, memorie e relitti di ciò che deperisce e scompare. Da Helvia Recina e dai resti del teatro romano del II secolo d.C., nella valle del fiume Potenza, alla luce ferita del presente, tra l’Acropoli sul Guasco e la fuga dei leoni stilofori dal protiro della Cattedrale di San Ciriaco ad Ancona, le visioni incise, disegnate, scolpite e scritte rasentano i confini del sogno e dell’allucinazione, ma tengono, con misurata freddezza, uno stile “fermo”, nella scrittura addirittura prosciugato ed estremo, quasi ogni sostantivo e ogni verbo subissero un paziente affinamento alla mola e alla morsa, quasi provenissero da un’officina d’orafo che cerca la pronunzia esclusiva, il castone che solo possa sposare il suono e la forma. Continua a leggere

LOROPERNOI

Che cosa è oggi un museo? Gli oggetti e le testimonianze che conserva? La narrazione delle sue collezioni? Un luogo di integrazione sociale? Lo sguardo del pubblico? Il sovrapporsi degli immaginari dei visitatori? Un dispositivo di saperi? Un catalizzatore di emozioni? Sempre più il museo si scopre realtà complessa, in grado di cambiare e integrare le sue funzioni contemporanee.

Loropernoi, la mostra di Davide Pizzigoni, a cura di Cristiana Colli, in programma a Reggio Emilia dal 3 febbraio al 17 marzo in due sedi: i Musei Civici di Palazzo San Francesco e la Galleria Parmeggiani restituisce, a partire da un insolito punto di vista “fotografico”, un nuovo attraversamento visivo delle sedi dei musei di Reggio Emilia grazie al protagonismo dei suoi “guardiani”, personaggi apparentemente invisibili ma essenziali per la vita del museo, dispositivi di accesso alle stratificazioni degli immaginari, custodi e vestali della sicurezza del patrimonio e delle relazioni con le opere e con i visitatori. Continua a leggere

Marketing digitali

I tempi, nell’era dei social network, stanno cambiando ad una velocità impressionante e questo influenza tutto ciò che ci circonda.
I social network hanno investito e in un certo senso stravolto totalmente il modo di fare marketing. Un esempio eclatante, è quello accaduto al Grand Palais. Stava sfilando la collezione per la prossima primavera/estate di Chanel.

Le solite centinaia di iPhone e iPad di buyer e redattori immortalano e diffondono via Instagram ogni uscita: tutto nella norma, ormai è così che si guardano le sfilate. Fino a quando arriva lei, una gigantesca borsa matelassé con un paio di hula-hoop come manici. Spettacolare. Partono migliaia di post, e la reazione in tutto il mondo è massiccia: non è nemmeno finita la sfilata che è già partita la corsa all’acquisto, con una valanga di richieste sui negozi che la propongono. Qui non si tratta più di apprezzamenti e cuoricini da aggiungere, ma di consumatori reali che vogliono quel prodotto, anche se si tratta, come in questo caso, di una trovata per lo show senza alcun fine commerciale. L’episodio non è un fenomeno isolato, come ha fatto notare il quotidiano americano WWD, il primo a riportare la notizia: Cosa succede? Semplice, siamo in piena evoluzione del sistema, e tutto grazie a un’applicazione digitale, Instagram

Instagram è un’applicazione gratuita che permette agli utenti di scattare foto, applicare filtri, e condividerle su numerosi servizi di social network. Può vantare già 7.3 milioni di utenti e di un sito web ufficiale della sua community.
Si sono rovesciati tempi e figure. In origine la tabella di marcia era rigorosa: i designer creavano, poi i buyer sceglievano cosa proporre nei negozi e solo allora il pubblico entrava in gioco, decidendo cosa acquistare. Il fatto che ora, trovato un mezzo valido d’espressione, la voce del consumatore abbia assunto una tale importanza, la dice lunga sulla portata del cambiamento. WWD definisce il rapporto instauratosi tra buyer e consumatori come una vera e propria partnership, immediata e senza filtri, che dà ai primi la possibilità di aggiustare il tiro sulle scelte fatte in base alle reazioni ricevute in tempo reale. Risultato: la certezza di andare incontro alle richieste dei clienti. Mica poco. E pensare che un po’ di anni fa (nemmeno tanti) le sfilate erano un rito riservato a una casta di pochi fortunati: preistoria. Il web, la sua immediatezza e la sua diffusione hanno cambiato completamente le cose, ma il vero processo di democratizzazione è partito solo con i social media. Il dialogo tra brand e pubblico si è fatto continuo, e l’investimento in quel settore è diventato necessario per non finire tagliati fuori. Ecco perché la scoperta che un mezzo per sua stessa natura adatto alla moda come Instagram, incentrato sulle immagini, amato dalle donne e capace di provocare reazioni immediate e “viscerali”, generi anche un desiderio d’acquisto reale e quantificabile è stata accolta con un simile entusiasmo: per la prima volta un social network ha dimostrato di poter ripagare gli investimenti fatti. Un cambiamento storico. La sua conseguenza indiretta è che molti degli addetti ai lavori faranno un passo indietro, lasciando che a decidere cosa volere siano davvero i consumatori. Pazienza. Ne vale la pena.

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