Luigi Serra. Per la Galleria Nazionale delle Marche

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Fino al 3 febbraio chi desidera visitare il Palazzo Ducale di Urbino potrà approfittare della mostra “Luigi Serra per la Galleria Nazionale delle Marche”. Con questa piccola esposizione si ricorda la nascita del museo fortemente collegata a una importante personalità per il territorio marchigiano come lo storico dell’arte, Luigi Serra. Lo studioso, divenne direttore della Galleria Nazionale delle Marche nel 1915. Nel giro di poco tempo la piccola collezione aggregata alla Scuola d’Arte si trasformò in un grande museo. Serra ne incrementò le opere e ‘liberò’ il Palazzo dagli uffici pubblici che ne occupavano gli spazi per costituire un grande ‘polo’ museale. Ne incrementò le opere portando i dipinti urbinati di Giovanni Santi e Timoteo Viti, la “Madonna di Senigallia” e la “Muta”, gli arazzi da Raffaello, i cartoni di Domenichino e Carracci (indizi questi ultimi di un interesse per la cultura barocca del tutto inedito all’epoca).
Profuse il medesimo impegno nella creazione dei più importanti musei che segnano la complessa e variegata realtà delle Marche, individuandone con lucidità le specificità. Studiò il tessuto fittissimo delle opere d’arte e dei monumenti della regione con attitudine scientifica, impostando la prima operazione sistematica di catalogazione del patrimonio: un’operazione conoscitiva che costituisce a tutt’oggi la base per ogni ricerca.
A Serra va il merito di una capillare ricognizione del territorio marchigiano, i cui risultati sono resi noti attraverso gli Inventari degli oggetti d’arte d’Italia, pubblicati su “Rassegna Marchigiana”, la rivista fondata dallo stesso Serra nel 1922 e prodotta fino al 1934 e la ricerca pubblicata in due volumi L’arte nelle Marche (1929 e 1934) che giunge fino al periodo Rinascimentale. La mostra cerca di mettere in luce tutti gli aspetti legati a questa personalità così importante e vitale per la conoscenza del territorio marchigiano. Il percorso si sviluppa partendo dalle opere pittoriche fino ad arrivare al suo contributo critico e letterario.

Dal 25 Ottobre 2013 al 03 Febbraio 2014
Palazzo Ducale, Urbino (PU)
Costo del biglietto: € 5.00
Telefono per informazioni: +39 0722 2631

Per info
urbino.cultura@comune.urbino.ps.it
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articolo a cura di Francesca Luslini

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Come Dalí siamo arrivati a questo punto

Articolo di Marco Cicala
tratto da il venerdí di Repubblica
numero 1310 – 26 aprile 1013

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Lo showman e il provocatore. Il visionario e il falsario di se stesso. A Madrid,una grande mostra riapre il caso del celebre catalano. Fenomeno della pittura o fenomeno da baraccone? E quanto gli somiglia l’arte oggi?

MADRID. Nei primi anni Sessanta Salvador Dalí avviava una nuova fase della propria opera. Quella della bufala dop. Invasato dal demone della riproducibilità tecnica, il Divino prese a macinare quattrini autografando in bianco a ritmi da Topolino apprendista stregone. C’è chi giura che – nei momenti più tonici – arrivasse a firmare mille fogli l’ora. Altri ritoccano il record al rialzo, parlando di una firma ogni due secondi. Comunque sia, l’impresa raggiunse presto organizzazione e cadenze quasi tayloristiche: un collaboratore allungava il foglio a Dalí, lui apponeva l’imprimatur e già un terzo complice aveva ritirato il pezzo per impacchettarlo e spedirlo. Su quelle candide superfici sarebbero state impresse immagini più o meno daliniane. Poco importa. Salvador se ne fotteva maestosamente. La direttiva era: “Dei fogli firmati in bianco fate quello che vi pare”. L’importante era incassare. Subito. Secondo Peter Moore – il più leggendario tra i segretari di Dalí – le tariffe viaggiavano sui dieci dollari ad autografo. Moore, detto El Capitán, per via di un passato da militare sparviero – succhiava una commissione del dieci per cento. Esosa, concluse Dalí. Che, in breve, prese a firmare ad insaputa del consigliori.
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Una e una volta

Daniela Mazzoli
Una e una volta, 2013

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Com’è larga la sera
tarda di resti culinari,
porta profumi d’arrosto
l’aria, rumori abituali:
abbaiare lontano di cani,
camion della spazzatura,
e il lampione riacceso
proprio davanti casa.
Tu dormi a piedi nudi,
dici che non esistono
paradisi venturi.
È giugno ancora,
un campanello suona
per dire che la vita
sembra ma non è vuota.

Di traccia in traccia, di notazione in notazione, lungo un percorso di trattenuta compostezza, di nitida misura, che trasforma anche il parlato in perfetta prosodia, si prova a ogni tappa dell’itinerario predisposto dall’autrice, in ognuna, insomma, delle 86 poesie,
a riagganciare il senso, chiamando lo stile a «sintesi essenziale».
Una e una volta. Come a dire: scrivere è tentare percorsi di avvicinamento, provando
e riprovando, ripassando «le volte», con ostinazione e tenacia, senza smarrire, tra rifrazioni e sdoppiamenti, la levità e il nitore della pronuncia. Perché è poi questo, in fondo,
il solo Erlebnis consentito al poeta, l’unico che ne può preservare la voce,
tra le faglie dell’inesistenza.

Daniela Mazzoli è nata nel 1972, vive e lavora a Roma. Dal 1998 collabora con la Rai.
E’ regista per Raieducational dei programmi ‘Scrittori per un anno’ e ‘Testimoni del tempo’. Ha scritto e messo in scena per il teatro testi originali e adattamenti
da Shakespeare, Garcia Lorca, Terenzio, Palazzeschi. E’ laureata in Filologia Dantesca.
Ha pubblicato racconti e articoli su portali e riviste.
Una e una volta’ è la sua prima raccolta poetica.

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Emilia Barbato

Un nome per ogni cosa

Toccare le mattine
ripiegate tra le tue dita fitte di poesia
e scrivere

-della necessità e di come-

certi cieli facciano l’estasi
e poi decidano la morte
sottraendosi incautamente alla vista.

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Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e vive ad Arpaia. Laureata in Economia presso l’Università degli Studi Federico II, si occupa di controllo di gestione e sistemi informativi. Dopo l’antologia ‘Pensieri stupendi – i capolavori nascosti’ (La Casa Di Gould, 2010),
ha pubblicato il suo primo libro Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011).
Di prossima edizione la silloge ‘Memoriali Bianchi’. Nel 2012 partecipa al volume di poesia la Stanza Clandestina, ebook del collettivo culturale WSF.
Menzione d’onore al 5^ Concorso nazionale di poesia – Città di Chiaromontegulfi.

 

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Vecchi filmati, Alessandro Fo

Tratto da nostro lunedì – l’amorosa spina
poesia 2005

Alessandro Fo
Vecchi filmati
martedì 30 agosto 2005

FOottobre2004


Lei in galleria

Lavavo i piatti. Tanta finezza, allora,
scesa col tempo sul fondo si apriva.
Era laggiù                                      Ecco in me la vetrina,
riflessi e magliettina
fucsia e la gonna blu.

Ebano morbido, fitti coltelli,
in superficie nera compostezza
vennero lisci e lucenti i capelli,
elefanti in bellezza.

Sguardo presto ritratto
di chi la terra sembra pattinarla

scivolando sul marmo; ma di scatto
stringe il suo movimento
se ti scopre un momento
ancora lì, da sempre, a contemplarla.

Sono passati                       cinquecentanni e ancora
mentre la schiuma sui piatti è più viva
il ricordo ferisce;         un taglio e sanguino.
È tanta lontananza che impedisce
di interrompersi e amarla.


Metropolitana (“Tiburtina”)

Trenta metri di corridoio nero
foderato di pannelli in plastica
manifesti e luci bianche al neon,
sputi, telefoni, il transito
delle infinite differenti vite
(una la mia).

Un cancello schiude i gabinetti,
sovranità di una bella forastica
addetta alle lordure, agli escrementi
di viaggiatori, barboni e mendicanti,
probabilmente fra sé disperata di
sciupare lì e così la sua fantastica
esistenza, specchiata in rotocalchi
sfogliati sul suo bianco
tenendo basso una volta in più lo sguardo.

E una volta, passando,
nell’ora meridiana
lei era lì gettata sopra il banco,
come autorifiutata, assopita,
braccia conserte su uno straccio bianco,
sfatto cuscino a una pausa in quella vita.


Vecchi filmati

In visita a Giovanna, mia sorella
dai Sentieri ha salvato in VHS
vecchi filmini di vacanze insieme
lungo gli anni Sessanta.

Molto bella
passa per tre secondi
nei fotogrammi, svanita, la mamma.
Avrà undici anni Andrea che a quel tempo
stupiva tutti col suo avvitamento
dal trampolino, i suoi salti mortali.
Vi rivedo Marcella
morta da poco tempo di tumore,
finita appena l’agonia del figlio,
e il gioviale Lamberto,
già da tempo (un infarto
dopo il tennis) caduto in altri mondi.
Ombre di VHS, e presto niente,
come anche noi altri attori del reperto.

Giovanna giovanissima in un niente
d’inquadrature si alza da un lettino,
seguita dalla pioggia di capelli
bruni che le festeggiano il sorriso,
occhi stelline, ali,
primavera di vita
che ancora ora
di ferita dolcezza m’innamora
– come fitta, già allora,
m’innamorava straperdutamente.

FOsettembre1996

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In viaggio per Teheran attraverso l’Art Brut

Invito a cura di Iman Safaei

Invito a cura di Iman Safaei

Wild Garden” è il primo tentativo da parte del poliedrico illustratore, pittore, scultore e insegnante Morteza Zahedi di racchiudere, all’interno di una sola macro esibizione, le opere di diciannove artisti Naïve del panorama iraniano.

Ogni anno, Zahedi si dedica alla ricerca di nuovi talenti appartenenti alla corrente Art Brut da far conoscere al grande pubblico mediante le esposizioni da lui curate.

Wild Garden” si terrà presso la Laleh Art Gallery di Teheran
dal 7 al 24 Dicembre 2013
dalle ore 10.00 alle ore 19.00

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Wild Garden” is the first project of the versatile illustrator, painter, sculptor and teacher Morteza Zahedi focused on concentrating inside one unique exhibition, the works of nineteen Iranian Naïve artists.

Every year, Mr. Zahedi dedicates himself to the research of new talents belonging to the Art Brut genre, in order to let them know to the general public through the exhibitions he curates.

Wild Garden” will be held at the Laleh Art Gallery based in Teheran
December 7th to December 24th 2013
from 10 a.m. to 7 p.m.

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Info
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L’alchimia verde del mago Holl

A Chengdu, Cina, l’architetto più ecologico d’America ha progettato una città nella città. 300mila mq di cemento armato e vetro con risparmi energetici da record.

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di Barbara Casavecchia
D La Repubblica, 4 maggio 2013

Un prototipo. È così che, al telefono da New York, Steven Holl definisce il suo Sliced Porosity Block (“blocco poroso affettato”, anche se in inglese suona decisamente meglio) di Chengdu. Un complesso futuribile formato da cinque torri per abitazioni e uffici, centro commerciale, auditorio, hotel e piazze multilivello, già inaugurato, ma ancora in progress. E viene spontaneo chiedersi come si debba declinare, quest’idea seducente di “prototipo”: se come un mega-esperimento riuscito di green architecture, futuro capostipite di altre pratiche virtuose nelle megalopoli cinesi e non (il committente, CapitaLand, è una delle maggiori società immobiliari asiatiche); o come l’ennesima architettura griffata da un archistar occidentale con volumi da guinness dei primati. Forse il vero potenziale del Block sta nell’essere entrambe le cose, in omaggio alla logica armonizzante del taoista ba gua, o yin yang, cui Holl si è ispirato per un altro suo progetto Made in China. Sta disegnando i due musei complementari di Ecologia e Progettazione (ciascuno il negativo/positivo dell’altro) della Eco-City Tianjin, in costruzione sulle rive del Mar Giallo. Luci e ombre, qui, si fronteggiano anche nella scelta del governo cinese (in tandem con Singapore) di costruire una città-manifesto “verde” sulle aree bonificate della Baia di Bohai, dove, nel 2011, la massiccia perdita di petrolio da due piattaforme (al 51% della China National Offshore Oil Corporation e al 49% della statunitense ConocoPhillips) fu messa a tacere per un mese, prima di correre ai ripari. Del resto, Holl lavora contemporaneamente su due fronti: il segreto del suo successo, rivela, è il ping-pong tra lo studio di New York e quello di Pechino, aperto un decennio fa e dove oggi lavorano 10 dei suoi 40 dipendenti. “Fino al 2001 non ero mai stato in Cina, ma da allora ci sono tornato quasi 70 volte. Amo lavorare lì, perché mi consente di produrre un impatto reale.  Continua a leggere