Cubi Guzzini, un progetto di Lirici Greci

Anche questo giovedì pubblichiamo uno dei nostri progetti, nato dalla collaborazione con l’azienda Fratelli Guzzini di Recanati.

Nel 2007 abbiamo progettato cubi in cartone in tre diverse dimensioni da abbinare a nuove linee di colore per la collezione Guzzini 2007. I tre concept per linee food sono il rosso / pomodoro, il blu / ghiaccio e limone, il fuscia / radicchio.

Punti vendita, fiere, negozi a tema richiedono un maggiore investimento in termini di fantasia e creatività, una sfida continua che mira a rendere unica la shopping experience, il tempo trascorso dal cliente all’interno del punto vendita, fino alla promessa di un ritorno. Le vetrine possono in questo modo diventare poesie visive e suscitare sensazioni diverse nell’apparato emozionale del cliente: offrire dunque l’emozione di un’esperienza. Il Visual Merchandise si identifica in pieno con il concetto di negozio come teatro del desiderio: il prodotto esposto invia stimoli sensoriali al cliente, attira la sua attenzione ed aumenta i volumi di vendita.

In quest’ottica il cubo funge da comunicazione di supporto al prodotto e può essere utilizzato per vetrine e punti vendita come decorazione o come espositore, ponendo il prodotto come protagonista indiscusso dell’esperienza sensoriale del possibile acquirente.

Questo giovedì viola / radicchio.

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A scuola di filosofia con Giancarlo Galeazzi – festival del pensiero plurale 2014

ALLA RICERCA DELLE VIRTÙ PERDUTE

a Scuola di filosofia con Giancarlo Galeazzi
venerdì 11 aprile ore 17.30
Facoltà di Economia di Ancona

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Nell’ambito della diciottesima rassegna Le parole della filosofia, il terzo appuntamento della “Scuola di filosofia” con il prof. Giancarlo Galeazzi alla Facoltà di Economia (ex Caserma Villarey) si terrà venerdì 11 aprile alle ore 17,30 nell’aula A1, gentilmente concessa dalla Università Politecnica delle Marche.

Alla ricerca delle virtù perdute potrebbe essere denominato questo ciclo di incontri filosofici, organizzato dal Comune di Ancona, dalla sezione dorica della Società Filosofica Italiana e dall’Associazione Ventottozerosei di Ancona.

Dopo le conversazioni, seguite da un folto e attento pubblico, dedicate alla bontà d’animo mitezza e alla forza d’animo resilienza, venerdì sarà la volta della magnanimità (grandezza d’animo) come virtù personale e insieme civile, come virtù religiosa e insieme laica. Tale polisemia sarà al centro della riflessione di Galeazzi, il quale sottolinea che “di animi grandi ha bisogno la società nelle sue diverse espressioni: civili ed ecclesiali, in particolare quando si è in presenza di una grave crisi valoriale, come quella attuale, il cui superamento richiede persone che abbiano un forte senso dell’onore e della dignità. Certo – aggiunge Galeazzi – non si deve confondere la magnanimità con la presunzione o l’altezzosità; la si deve invece cogliere come alternativa alla pusillanimità e alla meschinità”. E’ questa la lezione che da Aristotele allo stoicismo, dalla Bibbia al Corano, da Tommaso d’Aquino a Ignazio di Loyola, da Salvatore Natoli (ospite della rassegna filosofica il prossimo 24 aprile) a Papa Francesco risulta oggi di particolare attualità, per cui l’incontro si preannuncia di grande interesse e con possibilità di dibattito.

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Il relatore, prof. Galeazzi, noto studioso del personalismo in particolare nel pensiero contemporaneo, riesce da sempre nelle sue “lezioni” a tradurre il discorso filosofico in termini accessibili e coinvolgenti anche per un pubblicato diversificato e giovane, come è quello che frequenta la Scuola di filosofia, organizzata in questa diciottesima edizione dall’Associazione Ventottozerosei in collaborazione con la Società Filosofica Italiana di Ancona e con il Comune di Ancona. L’ingresso è gratuito.

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Terzo appuntamento venerdì 11 aprile alla Facoltà di Economia (ex Caserma Villarey), per parlare di magnanimità.

Ultimo appuntamento:

> venerdì 23 maggio ore 17.30
Pazienza

associazione culturale Ventottozerosei
in collaborazione con
Società filosofica italiana di Ancona

info 071 2225019

ufficio stampa Le parole della filosofia
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L’arte astratta espressionista di Richard Forster

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Sono nato e cresciuto a New York e ho iniziato a dipingere all’età di 9 anni. Ero innamorato della ricchezza dei colori e dell’odore e della sensazione del dipingere. Ho studiato all’High School of Art and Design, al Pratt Institute e all’Art Students League e mi sono diplomato in pittura al Pratt. Nonostante i miei primi lavori fossero principalmente surrealisti e astratti, sono stato influenzato dal lavoro dei pittori della New York School attivi tra il 1940 e il 1960. Dalla metà del 1960, dopo aver visto una retrospettiva riguardante il loro lavoro al Whitney Museum, la mia ricerca si è indirizzata verso l’espressionismo e la pittura non rappresentativa.

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Alla fine degli anni 60 mi sono trasferito nella Hudson Valley di New York dove, dopo vari riscontri positivi ho cercato di continuare a dipingere full time. Altri aspetti della mia vita però hanno cominciato ad assumere un’importanza maggiore, rendendomi impossibile dedicarmi alla pittura quando avrei voluto. Finalmente circa 12 anni fa sono riuscito a tornare a dipingere a tempo pieno, ho pubblicato il mio sito internet nel 1996 e il mio lavoro ha trovato successo tra coloro che amano la pittura espressionista e non rappresentativa.

Durante tutta la mia carriera la mia ricerca espressiva si è focalizzata sull’uso del colore e delle forme, della linea e della texture per comunicare la visione drammatica che ho del mondo. Il mio lavoro è romantico, sotto molti punti di vista, in particolare per l’intenso uso del colore. Ambisco a una forma di espressione che l’osservatore possa adattare alla sua visione. Le mie opere sono sempre diverse a seconda della luce, dell’ambiente circostante e dell’umore dell’osservatore, motivo per cui credo abbiano sempre qualcosa da dire.

Richard W. Forster

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“Muse” piccolo viaggio di poche parole – Francesco Scarabicchi

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“Muse” piccolo viaggio di poche parole – parte 2 di 3

di Francesco Scarabicchi
tratto da nostro lunedì
n° 1 scene – prima serie

Tutti e dieci abitano il bassorilievo del grande frontone realizzato dallo scultore bolognese Giovanni De Maria, seduti o in piedi sul pavimento della trabeazione sopra le sei colonne ioniche e i due ordini di finestre, al culmine dell’intera facciata principale del Teatro che, vista di notte, è toccata da luci pure e intatte dopo l’intero e interno buio di un lungo tempo di lesa umanità d’una città deprivata della sua identità d’arte, delle sue armonie.
Nessuno ci ridarà mai gli anni delle generazioni andate “come onde di fiume”.

«“Teatro” consiste nel produrre rappresentazioni vive di fatti umani tramandati o inventati,
al fine di ricreare. Questo intendiamo ad ogni modo parlando qui di teatro, vecchio o moderno che sia.» è ancora il Brecht dell’esergo (1948), lo stesso che chiude il Breviario con l’andatura piana di un senso assoluto: «Nel suo teatro lo spettatore può godere come divertimento il tremendo e infinito lavorio che gli procura da vivere, e anche la terribilità del suo incessante trasformarsi. Possa il teatro consentirgli di prodursi nel modo più lieve: poiché, dei vari modi d’esistenza, il più lieve è l’arte.»

Leggerezza, misura e forza convivono, come sorelle, fra queste mura, mattone, pietra, cemento, legno, ferro, vetro: compatibilità e compresenza del neoclassico esterno con l’antichità moderna dell’interno. Spazio che dalla platea non è minimamente percepibile. Bisogna salire fino allo spigolo sinistro della seconda galleria o su, al loggione, per provare
la vertigine senza parole che si ha guardando verso la scena con l’esatta e abissale immagine del volo senza rete.

Un castone d’assoluta bellezza che contiene, negli immediati dintorni, il vascello arenato di Piazza del Plebiscito (una fra le più teatrali d’Italia, così unica nella sua identità e solitudine, così austera nella sua non esibita aristocrazia ); il gotico fiorito veneziano della facciata della Loggia dei Mercanti di Giorgio Orsini da Sebenico; Santa Maria della Piazza che, all’apparire, interrompe il respiro a scoprirla sempre come fosse la prima volta, offesa dall’edificio sul fianco destro; il porto adriatico su cui il Teatro affaccia e che contiene quell’Arco a Marco Ulpio Traiano, in blocchi di marmo imenio, su progetto di Apollodoro di Damasco. La voce di Danilo Guerri, camminando, fra operai che brulicano nei gironi della gran fabbrica, nel fitto labirinto degli interni (sguardi da sotto in su che chiamano il clima di ponti, passerelle, scale, pianerottoli, porte, ballatoi, prospettive e fughe di molte acqueforti dell’architetto e incisore settecentesco Giovan Battista Piranesi, soprattutto la trama fitta e bellissima di scalini in ferro su Via Gramsci, le sue fessure di luce, il suo disegno condotto all’estremo dell’essenziale), convoca, mano a mano, i luoghi visitati, li percorre con le parole seguendo, più che me, un suo personale itinerario fatto di tutte le stagioni del progetto fino ad oggi e di tutte le epoche che il progetto ha vissuto, dai fondali perduti a questo sentiero che davvero porta, pian piano, al teatro finito, ad una identità del sogno che ha scelto di oltrepassare la dogana del Novecento per svelarsi di qua, oltre il confine delle sue ferite e mutilazioni, oltre il “no” caparbio di un diavolo impenitente che metteva la coda ad interrompere, fermare, ostacolare, colare altro buio sul già cupo di notte profonda
che teneva le Muse come nel cuore oscuro di un nero cappello.

Guerri mi indica l’atrio, il ridotto, la buca dell’orchestra, il sottopalco mobile, stanze di servizio, camerini, spogliatoi, sale di prova per il balletto, per il coro, per i musicisti, isole dentro la gigantesca nave del teatro in cui è possibile smarrirsi come nel mare sterminato della scena che vedo aperta (il sipario tagliafuoco è sollevato) e da cui osservo i due ordini di logge a pilastri bugnati che replicano, in scala, il porticato in pietra d’Istria del Teatro, quell’“al di là” che abita i diversi ordini di gallerie e l’azzurro cielo acceso di stelle in fibra ottica, firmamento tecnico che riposa gli occhi e la mente.

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Surface – WhoMade + Michela Milani al Milan Design Week 2014

DISFUNZIONE MEDITERRANEA / Padiglione Italia
Via Oslavia 3, Milano VenturaLambrate District
> 8 13 April 2014 / 10 am 8 pm

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L’incongruenza tra la forma e il contenuto crea una disfunzione che scuote l’oggetto nel suo significato e nella sua riconoscibilità. E se in un mondo dominato dalle immagini, la realtà fosse solo superficie, ovvero una successione di strati a creare oggetti superficiali, pieni solo nella loro esteriorità? Niente più solida materia ma archetipi di forme vuote dove gli oggetti perdono consistenza e l’immagine acquista sostanza.

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SUPERFACE è provocatoriamente la negazione del contenuto e l’affermazione di un design dichiaratamente superficiale la cui disfunzionalità vuole essere un suggerimento a ripensare una nuova cultura per il progetto e un autentico senso per l’oggetto.

SUPERFACE è un modo di realizzare oggetti interamente con superfici adesive stampate. Simulando le diverse texture dei materiali, le superfici danno forma agli oggetti, costruendoli nello spazio a partire unicamente dalla loro apparenza esteriore. La surreale bidimensionalità che descrive la loro superficie, ripetuta all’infinito, ha così la presunzione di dimostrarsi tridimensionale.

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Whomade è un progetto di ricerca che rilancia l’idea di un artigianato d’avanguardia per una nuova narrativa dell’oggetto. Dal loro studio creativo, Edoardo Perri e Dario Riva, fondatori di Whomade, promuovono un’azione di design alternativa al rapido consumo delle idee e delle risorse, supportando e valorizzando le eccellenze artigianali e i patrimoni legati alla manifattura di qualità nel creare produzioni locali in linea con le dinamiche contemporanee globali.

Sulla base di un approccio creativo partecipativo, Whomade concepisce e sviluppa progetti innovativi di design e comunicazione intesi a costruire una nuova reputazione del fare artigiano, per rileggere in chiave contemporanea il patrimonio di saperi derivanti dalle tradizioni e qualificanti i singoli territori e dargli rilevanza.

In collaborazione con la designer Michela Milani, coltiviamo una personale cultura e pratica progettuale indagando il divenire degli oggetti, dei luoghi e dei linguaggi contemporanei in relazione ai comportamenti umani e sociali, per promuovere una rinnovata economia dell’esperienza.

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“La Vittoria di Kassel a Forum Sempronii: un ritorno”

La statua Vittoria di Fossombrone
marzo – giugno 2014

al Museo Civico “A. Vernarecci” Fossombrone (PU)

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Dopo più di 350 anni la splendida statua bronzea di Vittoria conservata presso il Museumlandschaft Hessen Kassel torna a Fossombrone, suo luogo di ritrovamento, per una mostra, organizzata nel contesto delle celebrazioni del bimillenario augusteo, che si terrà nel Museo Civico “A. Vernarecci” della cittadina marchigiana da marzo a giugno 2014. Insieme al noto bronzo saranno esposti alcuni reperti di età augustea provenienti da Musei delle Marche.

La statua, nota con il nome di Vittoria di Fossombrone, costituisce una delle rappresentazioni di tale divinità meglio conservate e di maggior pregevolezza artistica. Rinvenuta a Forum Sempronii nel 1660, giunse poi a Roma nel corso del XVIII secolo e venne acquistata per 200 zecchini nel 1777 dal Langravio di Hesse-Kassel Federico II che in quegli anni si procurò decine di pezzi per il suo museo, tra cui il famoso Apollo, copia di un originale di Fidia.

La Vittoria, alta cm 67, interamente di bronzo con inserti di argento, poggia su un globo con la punta del piede sinistro e indossa un peplo; le braccia sollevate sorreggevano un attributo oggi perduto.
Essa rappresenta una copia di prima età imperiale della statua in bronzo dorato dedicata a Taranto per una vittoria di Pirro sui Romani ad Eraclea che Ottaviano Augusto trasferì nell’Urbe e collocò all’interno della Curia Iulia nel 29 a.C. simboleggiando l’affermazione di Roma sull’Oriente dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) ed assumendo la funzione di emblema della propaganda augustea. Pur essendo andato perduto il prototipo originale, l’iconografia della Vittoria su globo è stata tramandata attraverso i secoli su monete e in statuette, specialmente di bronzo, di dimensioni di solito ridotte.

In un manoscritto del XVII secolo conservato presso la Biblioteca Comunale di Fossombrone si parla del ritrovamento, nel 1660, nell’area archeologica di Forum Sempronii, di un edificio di età romana con abside centrale e pavimenti in opus sectile marmoreum policromi perfettamente conservati, oltre a rilievi e materiali antichi in abbondanza. In corrispondenza dell’abside l’autore del manoscritto descrive la presenza di una base quadrata che doveva sostenere una statua e riporta il rinvenimento di un’iscrizione mutila con titolatura imperiale, da collegare ad Augusto.
Le ultime righe del resoconto recitano: “La statua poi della Dea Vittoria era stata in antecedenza dissotterrata“.

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L’edificio è stato di recente oggetto di un nuovo scavo da parte dell’Università di Urbino e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica delle Marche: presenta ancora in situ numerose tracce della decorazione pavimentale e parietale di marmo ed è stato identificato con l’Augusteo di Forum Sempronii.

La statua bronzea proveniente da Fossombrone venne presa a modello per molteplici rappresentazioni di Vittorie nei decenni seguenti.
Una copia in gesso della statua fa ancora bella mostra di sé nella casa di W. F. Goethe a Weimar, mentre una Vittoria alata, realizzata su modello di quella di Kassel, si trova nella mano della statua marmorea di Napoleone commissionata dall’imperatore dei Francesi nel 1802 ad Antonio Canova e oggi conservata nella casa museo londinese del vincitore di Waterloo Arthur Wellesley, duca di Wellington.

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La Tavola Marche

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La Tavola Marche Agriturismo & Scuola di cucina si trova nelle Marche tra gli appennini e l’adriatico, a Sant’Angelo in Vado, piacevole agriturismo immerso tra 251 ettari di colline e terreni agricoli, in una valle di tartufo.
È anche un’azienda agricola biologica, una locanda e una scuola di cucina. Sposa l’incanto della natura incontaminata e una terra di cultura magicamente unica con il comfort di alloggi moderni, completi di tutte le caratteristiche che sono considerate eco-friendly.

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È un antico casolare in pietra con ampi appartamenti con camere, bagno, cucina, sala da pranzo, soffitti con travi in legno, pavimenti in cotto e camini in pietra. Le aree boschive circostanti sono l’ideale per chi ama le escursioni e per chi vuole gustare il sapore dei tartufi bianchi e dei funghi selvatici, la piscina per chi vuole rilassarsi, aperta da giugno ad agosto. Possibilità di personalizzare la vacanza, di soggiornare o in mezza pensione o pensione completa e di affittare anche l’intera tenuta per ricorrenze speciali.

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Gli ospiti godono le specialità locali che lo Chef Jason prepara ogni giorno in base a ciò che è di stagione. Jason e Hashley, proprietari dell’agriturismo, hanno deciso di condividere il loro amore per il cibo con altri in questo modo unico. Vivono in Italia tutto l’anno. Jason è sempre felice di mostrare agli ospiti i trucchi del mestiere di cuoco e Hashley ha un grande talento nell’ospitalità, nel far sentire gli ospiti a casa.

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Jason, cuoco professionista e istruttore di cucina con oltre 15 anni di esperienza culinaria in varie parti nel mondo a San Francisco, New York, Amsterdam e Italia; ha studiato presso il prestigioso Culinary Institute a New York.

“I am now a proud organic farm, I grow my own food & am amazed at the sense of pride that brings. There is nothing more basic than returning to the kitchen with a full crate of veggies fresh picked from the garden – ready to create dinner!”

La Tavola Marche diventa perciò un’esperienza culinaria in cui si partecipa attivamente alla cultura italiana, unisce la ricerca dei migliori ingredienti locali di stagione alle lezioni di cucina e alla convivialità della tavola attraverso il cibo, la cultura e la terra.

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Cubi Guzzini, un progetto di Lirici Greci

Anche questo giovedì pubblichiamo uno dei nostri progetti, nato dalla collaborazione con l’azienda Fratelli Guzzini di Recanati.

Nel 2007 abbiamo progettato cubi in cartone in tre diverse dimensioni da abbinare a nuove linee di colore per la collezione Guzzini 2007. I tre concept per linee food sono il rosso / pomodoro, il blu / ghiaccio e limone, il fuscia / radicchio.

Punti vendita, fiere, negozi a tema richiedono un maggiore investimento in termini di fantasia e creatività, una sfida continua che mira a rendere unica la shopping experience, il tempo trascorso dal cliente all’interno del punto vendita, fino alla promessa di un ritorno. Le vetrine possono in questo modo diventare poesie visive e suscitare sensazioni diverse nell’apparato emozionale del cliente: offrire dunque l’emozione di un’esperienza. Il Visual Merchandise si identifica in pieno con il concetto di negozio come teatro del desiderio: il prodotto esposto invia stimoli sensoriali al cliente, attira la sua attenzione ed aumenta i volumi di vendita.

In quest’ottica il cubo funge da comunicazione di supporto al prodotto e può essere utilizzato per vetrine e punti vendita come decorazione o come espositore, ponendo il prodotto come protagonista indiscusso dell’esperienza sensoriale del possibile acquirente.

Questo giovedì blu / ghiaccio e limone.

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Le rondini volano alte nel cielo libere – Graziella Magrini

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La Morte di Maria Felicita

Dopo aver ordinato ai domestici di chiamare il dottore, Gualtiero era salito in camera di Clotilde ed Agnese lo aveva seguito. La donna era sempre nella stessa posizione. Gualtiero entrando si era guardato attorno esaminando ogni cosa. La culla era vuota. Accostatosi al comò, aveva sollevato lo scialle, per un attimo aveva fissato il viso della figlia, Maria Felicita, poi con sdegno, aveva lasciato cadere il telo.

Gualtiero era uno di quegli uomini che, malgrado il fare autoritario, l’apparente intelligenza e l’impeccabile abbigliamento, suscitava negli altri una forma inconscia di repulsione. La voce fiacca e stridula, le mani troppo curate, un’aria melliflua e sfuggente accompagnavano un fisico alto e scarno. Occhi corvini sovrastavano labbra sottili. Gualtiero si avvicinò alla moglie e le porse la mano diafana per aiutarla a sollevarsi. Clotilde si ritrasse. Un vento, ormai freddo, entrava nella stanza. Il volto privo di compassione dell’uomo si contorse. “Smettete con queste vostre scenate ed alzatevi” gridò. Era evidente lo sforzo di quella voce gutturale e spenta. L’uomo prese Clotilde con forza, la sollevò di peso e con inaudita malagrazia la spinse sul letto.

“Voi e la vostra disperazione” continuò “siete stata fino ad ora tutto tranne che una buona moglie, non riuscirete mai ad avere la mia compassione. Non avete dignità. Ma guardatevi come siete ridotta! Grassa, sciatta. Ogni giudizio malevolo dato nei vostri confronti è sempre poca cosa”. Gualtiero urlava, la voce aspra, isterica. “Non siete riuscita a mettere al mondo un figlio che sopravviva, non avete partorito che femmine! Mi ripugnate. Quando vi ho sposata andavo fiero di voi, ora faccio di tutto pur di non mostrarvi in società, siete ridotta peggio di una serva”.

Clotilde, impassibile, si era raggomitolata sul letto. La gonna vuota copriva il talamo. Gualtiero continuava ad inveire contro la moglie con parole e gesti, a lunghi passi percorreva la stanza, ma non si avvicinava mai né alla culla né al cassetto che conteneva l’inerme corpicino. Agnese, in piedi vicino alla porta, osservava lo sfogo egoistico dell’uomo. Il suo sguardo si spostava continuamente tra i due coniugi, nell’attesa di qualche cambiamento della scena. Ma nulla. Gualtiero camminava ed inveiva e Clotilde giaceva sul letto immobile. I minuti passavano e nulla cambiava. Agnese avrebbe voluto far smettere quella voce penetrante, quelle parole sgradevoli. Come faceva quell’uomo a non capire il dolore della propria moglie, non vedeva in che condizioni era?

Arrivò il dottore accompagnato dal conte Edoardo.

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Graziella Magrini, laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Macerata, scrittrice, poetessa, studiosa di storia contemporanea, segue con grande interesse la crescita del mondo femminile approfondendo tradizioni locali coniugate con le evoluzioni normative.
Nel 2005 è stata tra le vincitrici di un concorso letterario indetto dalla Provincia di Ancona e ha avuto come riconoscimento la pubblicazione della sua opera in un’antologia di poetesse dal titolo Versi di luna (casa editrice Il lavoro Editoriale).
‘Le rondini volano alte nel cielo libere’ pubblicato dalla casa editrice Italic – Pequod di Ancona, – novemnre 2011 – è il suo primo romanzo.
Il 4 maggio 2012 è stata premiata con la benemerenza civica del Comune di Ancona per aver portato con il suo libro lustro e notorietà alla città dorica.
Dal 2012 insieme con altre due scrittrici, Laura Moll e Nadia Diotallevi, ha fondato il gruppo denominato ‘Quello che donne non dicono’ che si prefigge di sensibilizzare le donne sulle problematiche femminili nella società odierna retaggio culturale del passato. A tale scopo la scrittrice, in conferenze solitamente organizzate da associazioni o enti pubblici, propone una panoramica sulle condizioni di vita delle donne, sia nobili che contadine, nelle Marche di inizio ‘800, paragonando il passato con il presente.

Le rondini volano alte nel cielo libereItalic Pequod
E’ l’alba del 23 febbraio 1832, quando il conte Edoardo Altieri ascolta incredulo sua moglie Agnese Brigante Colonna predire con esattezza l’imminente sbarco francese nella città di Ancona, un’azione decisa da complicati giochi di potere e perciò impossibile da prevedere. Una breve occupazione militare che basta a innescare la spirale della violenza fra i membri della Giovane Italia e i Sanfedisti, fedelissimi del Papa. Da questo momento, i disordini e i fatti di sangue si susseguono di pari passo con la proliferazione delle idee giacobine, che culmina con l’uccisione di un aristocratico reazionario e con la finale caccia all’uomo per l’identificazione dei colpevoli. Sullo sfondo dell’Italia sconvolta dai moti risorgimentali si svolge l’intrigante vicenda di Edoardo Altieri, esponente di spicco del partito papalino e di sua moglie, la bellissima e misteriosa contessa Agnese. L’irresistibile magnetismo della donna non è privo di accenti mistici e si fa allegoria dell’eterno ritorno della Storia nella figura di Agnese, lettrice curiosa ed attenta che ricompone, ai nostri giorni, i tasselli della vicenda passata.

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L’arte astratta espressionista di Forster

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Sono nato e cresciuto a New York e ho iniziato a dipingere all’età di 9 anni. Ero innamorato della ricchezza dei colori e dell’odore e della sensazione del dipingere. Ho studiato all’High School of Art and Design, al Pratt Institute e all’Art Students League e mi sono diplomato in pittura al Pratt. Nonostante i miei primi lavori fossero principalmente surrealisti e astratti, sono stato influenzato dal lavoro dei pittori della New York School attivi tra il 1940 e il 1960. Dalla metà del 1960, dopo aver visto una retrospettiva riguardante il loro lavoro al Whitney Museum, la mia ricerca si è indirizzata verso l’espressionismo e la pittura non rappresentativa.

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Alla fine degli anni 60 mi sono trasferito nella Hudson Valley di New York dove, dopo vari riscontri positivi ho cercato di continuare a dipingere full time. Altri aspetti della mia vita però hanno cominciato ad assumere un’importanza maggiore, rendendomi impossibile dedicarmi alla pittura quando avrei voluto. Finalmente circa 12 anni fa sono riuscito a tornare a dipingere a tempo pieno, ho pubblicato il mio sito internet nel 1996 e il mio lavoro ha trovato successo tra coloro che amano la pittura espressionista e non rappresentativa.

Durante tutta la mia carriera la mia ricerca espressiva si è focalizzata sull’uso del colore e delle forme, della linea e della texture per comunicare la visione drammatica che ho del mondo. Il mio lavoro è romantico, sotto molti punti di vista, in particolare per l’intenso uso del colore. Ambisco a una forma di espressione che l’osservatore possa adattare alla sua visione. Le mie opere sono sempre diverse a seconda della luce, dell’ambiente circostante e dell’umore dell’osservatore, motivo per cui credo abbiano sempre qualcosa da dire.

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