acque e lune

Maria Grazia Maiorino tratto da nostro lunedì numero 4 – prima serie – scataglini

La poesia è qualcosa che ti costringe ad aspettare. Un poeta può scrivere non quando
lui vuole ma quando Ella vuole. Non c’è che il distacco dalla volonta’ di poesia.
E l’abbandono. La poesia non si lascia cercare né “ricercare”: una rima buona, un inedito accostamento di parole non fanno primavera se la continuita’ manca: e la continuita’
sale da dentro, facile, imperativa, necessitante. È così per tutti? Per me è così, e non vorrei che fosse diverso. Amo la poesia per questa sua sovrana aleatorieta’.
Nelle lunghe stasi, quando la parola si è oscurata e la paresse ha campo nei fondali della mente, trovo d’improvviso un impulso al colore e con procedure apprese in lunghi soliloqui con suggestio ni mezze dimenticate (mostre, musei, libri, come quelli di Skira), compongo paginette di un libro da guardare. E ogni volta ho sotto gli occhi qualcosa cui non avevo pensato e che sembra l’evento di una divertita stupefazione. Per carita’! mai voluto,
dal dipingere, niente di piu’. Immagini di case, porti, navi, mari, lune ora placide,
ora impazienti, per lo piu’ improbabili, non dicono: suggeriscono.
Questo è il vissuto del mio dipingere e se a l’osservatore non basta, egli puo’ andare
a ricercare, una per una, nella sua memoria pittorica, tutte le mie disperse ascendenze.
Ma non si puo’ negarmi il pudore, figlio del mio infinito rispetto per le opere della pittura. Sono un contrabbandiere, sono un immigrato? Chiedo solo un obolo di magia;
un’inezia, una briciola, un “bregno”. Il piattino che ritiro ogni volta non è mai vuoto.”
Testo composto per l’esposizione dei dipinti al Festival Inteatro di Polverigi
nel luglio del 1993
angelo 2
Violacciocche
Unico dono all’amico poeta,
farfalle viola venute dal mare
sugli ori di angeli cavalieri si posarono.
In quali vetrine dell’inverno
andare a cercare quel volo leggero?
E le mani che vollero prenderlo?
                              a Franco e Rosella
È ancora estate, gli stessi visi e diversi
di quelle sere a Palazzo Bosdari, i tuoi
versi, mai prima sentiti recitare da altri.
Come un gesto mancante la cerimonia
laica, le rose portano già fuori e te
furtivamente.
Parti da solo, stretto dalla via,
nel pianto di donna che rimane
lasci un’orma…

Uscire dalla porta di una chiesa

e trovare una nave illuminata
da poterla toccare tra le case
amare per questo una città
come fosse il momento di lasciarla…
(Santa Maria della Piazza, dicembre 2000)


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