Gabriele Via. Il riposo di cui parlo

“Il riposo di cui parlo”

Finalmente oggi,
dopo tanti anni,
mi sono riposato.

Ho potuto vedere
l’intangibile entità che sono:
tra l’emozione del sogno
e la caduta
nel dominio frettoloso
delle cose che avvengono,
in misura tanto del pensare,

del dire e del fare.

C’è un’ortogonalità
in cui le cose storte respirano,
nel volgo celeste degli accidenti.
Lì, il ricordo e la speranza
hanno le stesse luci;
piaceri e dolori stesse radici.

E se vedi da di fuori lo chiami
mondo; ma se la vivi da dentro
la senti come la tua immensa vita.

In ogni caso è un qualcosa
di infinitamente più grande:
come il mare è sempre lì;
ma non se ne sta mai fermo davvero:
insonne.

Poi, senza nome, nemmeno indirizzo,
sorge una calda pietà d’amore.

Sempre caro, quindi… E infine dolce.

Ma c’è un più grande dolore
e sordo, e livido, e subdolo:
porta sempre un nome antico di città.
Ha un urlo indiretto
e chi non lo legge ride incuriosito.

È l’improvviso dolore di sempre;
dove si dimenano le contese,
l’urlo acerbo della piazza,
il singhiozzo rotto del poeta,
i primi baci rubati dei ragazzi,
e il farabutto
di vicolo o quello di palazzo.

E a malapena riesce a giungere
l’occhio amico della sera, lì dove sei:

e capisci soltanto che ti porti addosso
la fatica inutile di vivere
organizzata alla bell’e meglio
nei gangli ciechi del dolore.

Perché non basta correre e saltare;
mangiare o dormire… Viene il tempo
in cui scopri la sete
del riposo di cui parlo:
del presagio da avvertite.

Ché poi la vita non lo sa nemmeno;
e se ne fugge via in un baleno.

E siccome la vita ha un nome sbagliato
ora è il tempo di quel che è:

il riposo di cui parlo
e di cui ho già parlato.

Tratto da “Una disordinata bellezza”

foto Gabo per libro

Gabriele Via è un poeta, filosofo, performer e fotografo. Ricerca l’essere, col fare: drammatico, pratico e poetico. Cammina: due volte dalla Francia a Capo Finisterre
lungo il cammino di Santiago. Studia filosofia, teologia, natura e umanità.
Cucina, suona, plasma l’argilla e apprende i nomi delle cose.

“A morsi leggeri e precisi, Via strappa lembi di cielo per farlo sanguinare e far piovere sulla terra qualche sprazzo di pioggia feroce. Ma il suo volo, per salire nello spazio e catturare parole, è da angelo che sa arridere anche quando ferisce. Quindi, avendolo da sempre letto con attenzione, vorrei suggerire di stare attenti ai morsi, che non sono da serpente nero ma, ripeto, da artista vigile che non si stanca di cercare e di assaltare, sapendo almeno quel che vuole; nella tensione di dare ordine al proprio rabbioso sgomento, e di non appagarsi di semplici soluzioni o di poche cauzioni. Gabriele scava induce rivolta ara il campo del mondo su cui noi arranchiamo; mantiene all’erta se stesso; tende anche a risvegliare dal sonno della ragione e riflessione gli altri camminatori. Ha una attenzione ubiqua, che gli propone e sottopone dettagli a non finire, che lui non cataloga ma seleziona esaltandoli, per esemplificare. L’induzione ad una conclusione morale – una conclusione forte – a me sembra la costante privilegiata di questo suo violento e dolce raccontare che non ha fine. Non può avere fine. Non deve avere fine.”
Roberto Roversi

 

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