“La donna mancina” – un’altra lettera – Lella Marzoli

di Lella Marzoli
Tratto da nostro lunedì
n. 3 – Libri

Donna mancina4

Carissimo Francesco, il libro che mi cambia la vita è quasi sempre l’ultimo che leggo.
Ti sembra un paradosso? Il fatto è che i cambiamenti della vita sono così tanti,
a volte così impercettibili.
E poi quando leggo, le emozioni e i pensieri corrono sulle parole in tempo reale.
Allora, eccoti la mia rapida impressione su un libro per me recente, ancorchè non ultimo
in ordine di lettura: La donna mancina, di Peter Handke, che sicuramente conosci.
Trovo Marianne, la protagonista, un personaggio indimenticabile. Ha il coraggio
di dichiarare la sua disperazione senza deliri, di assumersi la responsabilità principale
di un dolore (anche di quello profondo che provoca negli altri con le sue decisioni),
ha la lealtà esplicita di fare una scelta di solitudine, magari non irreversibile.
Una donna comune, apparentemente egoista, una donna qualunque di fronte al dramma della sua estrema sincerità, incapace di continuare a fingere per tenere in equilibrio il vuoto della sua vita. Ma devo dire che non dimentico neppure Bruno, suo marito, così vero
nella sua umana reazione , tutt’altro che un uomo ideale, vittima non sempre dignitosa
(ma chi lo è nel dolore improvviso e lancinante?) Essere lasciato senza spiegazioni. Eppure fra le righe ho visto molte negative spiegazioni fra queste due persone, ho visto una infinita serie di gesti privi di densità affettiva, vuoti di motivazione e di progetti comuni. Succede, non è una cosa nuova.Fine del senso stesso dello scambio, black out.

Ma è nuova nel testo letterario, così mi sembra, la naturalezza, la realtà nebbiosa
e tranquilla della disperazione, del clima di lucido fallimento purtroppo possibile
ad ogni passo per tutti noi. Conviene mettere tutto questo nel conto, senza drammi.
Cosa resta? Mi piace molto la resa letteraria di questo deserto umano, trovo Handke
un autentico specialista, un fuoriclasse della descrizione del nulla interiore, nuovo Sartre della nausea (esagero?). Si parla fra persone come dentro uno schermo televisivo grigio, come quando saltano le valvole, computer saturo imballato. Non di-mentico Marianne,
an-che se non è certo quella che può definirsi una bella persona
(chissà forse non la dimentico proprio per questo). Sceglie una solitudine trasparente esplicita, al riparo da ogni giudizio mo-rale, ma non è ri-nuncia definitiva all’amore.
Nel presente della storia non sa più amare, ma in generale: non lo ha mai saputo fare
o non vuole amare più quel determinato uomo?  L’esito della storia non c’è,
il suo buon punto di valore ai miei occhi è nella sua infinita sospensione. Nulla può chiudersi, nulla nella nostra vita si chiude mai definitivamente. Siamo in ogni momento
il centro di mille destini. Per questo non è semplicemente una esistenza arida e cinica quella di Marianne, anche se sembra senza soluzione il suo disagio di madre.
Ma quanto spiace ai più – oggi come sempre – una donna che evita di bamboleggiare con se stessa e con gli altri! La sua sincerità turba, ma se ne prenda atto, sempre e una volta per sempre. Che colpo per il suo speranzoso appassionato corteggiatore sentirla dire:
‘La prego, non faccia progetti su di me’.  E Handke chi è? è questa donna comune
e stanca o quest’uomo ferito e  dunque reattivo? Ambedue le persone, apparentemente. Anche se questo sembra proprio l’ultimo dei problemi che riguardi il lettore.
Marianne ascolta sempre un disco, le piace molto questa canzone,
‘The lefthanded Woman’, la donna mancina appunto. E’ un bel testo. Dice per esempio: “era sdraiata con altri sul prato del parco, rideva con altri in un labirinto di specchi, gridava con altri sull’ottovolante e poi sola la vidi soltanto camminare nei miei desideri” e poi finisce così: “vederti in un continente straniero io vorrei, perché finalmente in mezzo agli altri
ti vedrei sola e tu fra mille altri vedresti ME e finalmente ci verremmo incontro”.

 

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