Poesia brutta del carnevale
Anche i grandi poeti
se non ricordo male,
quelli che sanno e non sanno;
quelli dei forse e degli ascolta;
eccoli cadere sul carnevale.
Me lo sono sempre chiesto:
da fanciullo – coi piedi freddi
nell’agrodolce cruna di silenzio
di una saletta presa a nolo
(certo di una parrocchia,
ma non ricordo perché);
poi adolescente, correndo pazzo
per poche ore in una lega di paese
a spruzzare schiuma da barba
come –povero idiota- vedevo fare
al più monello di tutti,
con la giacca di un nonno
e le braghe alle caviglie sottili,
il sorriso dolce e cattivo di quell’età
di nulla, quando si sanno compiere
vere e assurde crudeltà:
e mi sembrava bello –per pigrizia,
se pur non mi piacesse proprio per nulla;quindi da giovane ometto;
poi da padre –ansioso e guardingo;
e quindi, ancora, adesso che ho smesso
da un pezzo di essere qualcosa
di prima o dopo qualcos’altro
e respiro qua in mezzo
dove il carnevale ben peggiore
si è mangiato occhi, mani e labbra
e ha strappato le braccia alle braccia
e tutti cantano sempre la stessa
diversa trita canzone d’amore:
andando al macello sorridenti.
Facendo il tifo, sempre facendo il tifo.
E sul carnevale, ecco ancora
cadere i poeti, come ci cado io.
“Non serve che vi mascheriate!
Non serve! Credete!” vorrei quasi
dire, o scrivere in versi… Per noi
per noi tutti, veramente. Ma
non serve davvero che io dica nulla.
Eccolo arrivare coi suoi sorrisidi plastica parlante;
e schiacciare la materia prima
della poesia: il vuoto, il tremolio,
il possibile, il bivio, l’attesa…il sano silenzio senza nome…
E bruciare in un urlo volgare
nella luce patrimonio di tutti,tutta la rabbia, tutto il dolor
ma mai quello di cui davvero
si potrebbe dire. Credo
che forse dovrebbe essere
davvero un grande rito religioso,
e non confessionale. Il rito
annuale della religiosità
del fuoco, propria di ciascuno:
dove corpo umano e tempio
possano per una volta coincidere
e danzare ebbri sputando
via il male, allontanando
il calice di veleno (Oddio cos’ho detto?
Cancella! Nascondi! Maschera!)Ma non se ne accorge nessuno!
Un bell’applauso! Un bell’applauso!
Hai visto che tette la presentatrice?!
Mentre tutto è risibile pantomima:
la risibile pantomima Romana
di averlo messo a giustificare
un prima della quaresima!Una cosa squallida
come gli impiegati che vanno a puttane
la notte prima di
posare.
Eccolo il vostro carnevale!Ma c’è un più oscuro patto
di puttaneria. Sotto, sotto, c’è
la sgualcita guancia della madre
terra violata e messa al sacco
dai vomeri… E le risa crasse
dell’uomo grossolano che alza il calice
di sangue e vino e brinda
coi suoi lucidi forconi a questo dominio
di maiale che razzola su tutte le tenerezze
della terra…
Anche questo i cristiani si sono presi:
come ogni furfante e se lo sono
rilucidato a nuovo. Che dolore,
che sconcerto il carnevale!
Due risa sgangherate:
due fianchi mollicci male esposti;
labbra rosso cardinale; lunghi manti;
cappelli a punta. Il tutto per alcune ore
e una scia di sangue tra i coriandoli morti
che giace senza voce sulla strada.
Nessuno la vede, nessuno la sa:
colore del piombo
quando già non vuole dire più niente.
E di nuovo sete di omicidi,
scandali ed ogni altro prurito:
per tutta questa losca eternità.
Tratto da Una Disordinata Bellezza
Gabriele Via è un poeta, filosofo, performer e fotografo. Ricerca l’essere, col fare: drammatico, pratico e poetico. Cammina: due volte dalla Francia a Capo Finisterre
lungo il cammino di Santiago. Studia filosofia, teologia, natura e umanità.
Cucina, suona, plasma l’argilla e apprende i nomi delle cose.
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