La nostra era un’amicizia “operativa”, nel senso che si nutriva non di una frequentazione assidua, bensì di incontri in vista di qualche progetto da realizzare, e la conseguente collaborazione era amicale in senso pieno, in quanto caratterizzata da stima e fiducia reciproche nel comune impegno di fare manifestazioni valide per rigore di metodo e novità di impostazione. Dunque, era sul piano culturale che ci si incontrava, e nella diversità di provenienza e competenza, l’intesa era costante e fruttificava iniziative di spessore, realizzate “ad” Ancona e, soprattutto, “per” Ancona.
Al riguardo, vorrei richiamare l’attenzione su un aspetto che è stato un po’ trascurato, ossia il suo apporto qualificato e creativo alla vita culturale e civile della città. Sotto questo profilo, la creatura che gli era più cara era indubbiamente la rivista nostro lunedì
ideata nel 2002 (prima serie fino al 2009 – seconda serie 2010-2017) con lo studio grafico Lirici Greci e coordinata con Francesca Di Giorgio.
Proprio questa rivista è stata motivo di alcune nostre collaborazioni e presentazioni pubbliche. Sono convinto che nostro lunedì, un prodotto editoriale inedito, sia stato espressione significativa della volontà di Scarabicchi di valorizzare la provincia senza provincialismi, di restare ad Ancona senza chiudersi nel piccolo.
Risaliva agli anni ’80 e al gruppo di Franco Scataglini la scelta di continuare a stare nella propria città, nella propria regione, ma respirando la grande aria della cultura: la sfida che prendeva nome di “residenza” ha dato ragione al gruppo che l’avanzava, e, giusto venti anni dopo, ha trovato espressione nella progettazione a attuazione di nostro lunedì. Questa rivista segnava, inoltre, il momento di maturazione di Scarabicchi, il cui sviluppo di intellettuale si era attuato grazie alla sua opera di critico d’arte (le sue “cronache” scritte fra il 1974 e il 2006 sono poi state raccolte nel volume dal bel titolo L’attimo terrestre, pubblicato da Affinità Elettive di Ancona nel 2006) e soprattutto alla sua opera di poeta. Il suo primo volume di poesie “La porta murata” fu pubblicato proprio sotto l’egida di “Residenza” nel 1982; seguirono (confermando e accrescendo la qualità poetica) Il prato bianco e Il viale d’inverno (pubblicati da L’Obliquo di Brescia rispettivamente nel 1987 e nel 1989; poi i libri della maturità: Il cancello (da Pequod di Ancona nel 2001), L’esperienza della neve
e L’ora felice (da Donzelli nel 2003 e nel 2010), fino alle Stanze per Lorenzo Lotto (da Liberilibri di Macerata nel 2013), che rappresentano, oltre che un omaggio al Pittore lauretano, pure un momento alto di sintesi poetico-esistenziale dello stesso Scarabicchi. Dunque, una produzione non voluminosa, eppure essenziale per dare la misura della sua autenticità poetica. E la “essenzialità” costituisce anche qualitativamente la cifra di Scarabicchi poeta, e per “essenzialità” deve intendersi la capacità di andare al cuore delle sensazioni e dei sentimenti, ovvero l’inclinazione ad una purezza linguistica, che è anche etica. A questo punto, vorrei riportare alcuni suoi versi, significativi ed esemplificativi della sua poesia.
Li traggo da L’esperienza della neve (Donzelli, 2003): «Della perduta vita non so niente, / ché sempre se ne va per chissà dove, / resa o voltata a un angolo del giorno, / mesi che può la notte cancellare / sulla soglia gelata del mattino. / Non c’è altro che adesso e adesso ancora: / se appena lo pronunci si dissolve / in un adesso che non è più niente. / Siamo quest’oggi chiaro che si spegne, / luce che lascia gli occhi con dolcezza, / uomini che di spalle vanno piano, / seguito della storia, sogno, nube, / ombre che di ogni età fanno silenzio, / onde che si cancellano nel mare.» E chiudo con alcuni versi tratti dalla prima raccolta, Il prato bianco (ripubblicata 30 anni dopo da Einaudi nel 2017): «Porto in salvo dal freddo le parole, / curo l’ombra dell’erba, la coltivo / alla luce notturna delle aiuole, / custodisco la casa dove vivo, / dico piano il tuo nome, lo conservo / per l’inverno che viene, come un lume». Ecco, già il Francesco trentaseienne aveva individuato le ragioni della sua poesia, e ad esse è rimasto fedele, e delle ragioni della poesia ha fatto la sua ragione di vivere. Una bella testimonianza: poetica e biografica, di cui gli siamo riconoscenti.
Giancarlo Galeazzi
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