Ritorno a Casarsa

 

nostro lunedì n.6 - viaggi

Gianni D’elia

– Qui, Pasolini è cominciato da poco…

Diceva così la tassista, guidando la sua Mercedes fino al cimitero.

Fuggivo da una rissa verbale, da un giudizio cattivo sul mio fare, un invito di qualcuno che, amico, ma brutale, aveva risposto alla domanda sul mio libro:

– Il peggiore che hai scritto. Insistendo, poi, e credendo di scusarsi: – Non è un libro estetico.

Estetico? Come si dice: – Non rientra nel mio gusto del bello.

Filava la tassista, intanto, lungo la striscia del paese di Casarsa, con la casa del poeta, a sinistra, là, senza nessuna targa, d’un rosa rossiccio o cosa, due vetrine al pianoterra, vuota, dentro.

– Ci fanno un po’ di mostre…

Invece di andare a scuola a parlare della mia poesia ai vivi, andavo a ritrovare il poeta più poeta, il morto più vivo che conosca, dopo Giacomo Leopardi.

Il sole, tra le nuvole, più alto, come in Friuli mi sono sempre parse, accendeva una scena da dopo temporale, tra vigne e casette geometrili, ville e villette col giardino, cortili nuovo di hotel, o cancelli, con dietro vecchie corti, acacie, pioppi, qualche misera catapecchia contadina disabitata.

Feci il ritorno a piedi, costeggiando e sfiorando i muri vecchi di una casa, mentre la gente si salutava in bicicletta – Mandi mandi – rispondeva, gentile e un poco ironica: – Dovrà scaldare gli scarpini…

Sulla stazione, intanto, fumigava la colonna di cannoni semoventi, in corsa nella prova di guerra quotidiana…

Profumava la strada del mattino, contro il muro, grigio e scaldato dal sole, che era uscito, risparito…

Profumava la morte il gelsomino, sotto un cielo annuvolato, con squarci alti d’azzurro, fini come un filo…

E la foto di Guido, contro il muro, a destra, coi suoi cinque compagni d’ideale, era fraterno appello a questo andare.

E due lumache stavano allacciate, tra le due tombe, in amore: PIER PAOLO PASOLINI / (1922 – 75) e sua madre: SUSANNA COLUSSI / VED. PASOLINI / (1891-81).

E i sette fusticelli dell’alloro, tra le rose e le roselline, drizzavano una pagoda d’ombra anche a noi, morti vivi. Pareva un verde glande, amici buoni e cattivi.

Lì, sepolta è l’avanguardia, o gente tanta, di quella tradizione che in noi disistimi.

30 maggio 2000

 

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