dal diario

Francesco Scarabicchi
tratto da nostro lunedì numero 4 – prima serie – scataglini

disegno7
 27.XI.2001

I recenti appuntamenti succedutisi nel corso dell’ultimo mese e che culmineranno – venerdì 1° dicembre, ad Ancona, Teatro Sperimentale “Lirio Arena” – con la presentazione, coordinata dal poeta e critico letterario Giorgio Luzzi, dei primi tre Quaderni del Centro Studi “Franco Scataglini” editi da Il lavoro editoriale in una specifica collana
(gli Atti del Convegno sul poeta anconetano tenutosi nel dicembre 1998, la Bibliografia degli scritti editi a cura di Daniele Garbuglia e una plaquette antologica – Poesie scelte – pensata per la scuola, all’interno del “Progetto Scataglini” da un biennio in corso a cura del Provveditorato agli Studi di Ancona), hanno di nuovo illuminato, a sei anni dalla morte, con il contributo del filologo Pier Vincenzo Mengaldo e della poetessa Antonella Anedda,
la centralità di una esperienza d’autore che seguita a proporre, per complessità stilistica
e tematica, continue vie di indagine e di conoscenza. C’è un indizio reperibile nel
De vulgari eloquentia di Dante in cui si legge: “Poiché l’umana attività con moltissimi
e differentissimi idiomi si esercita di modo che molti con molte parole non altrimenti s’intendono che se fossero senza parola, conviene mettersi sulle tracce di quell’idioma,
di cui si crede si sia servito l’uomo che fu senza madre”. La scheggia dantesca irradia la preposizione “senza” che si offre come uno dei luoghi linguistici e di senso che connota la poesia di Franco Scataglini fin dall’origine (la “Lauda anconitana” di So’ rimaso la spina del 1977 dedicata alla madre Argentina), segnata dal privativo di una sottrazione che, prima ancora che all’ordine dei versi, pertiene a quello della vita e si farà tutt’uno con la scrittura a partire dagli anni Cinquanta. Meglio si comprende la sua predilezione per i poeti della corte Sveva (fra tutti, il funzionario imperiale Jacopo da Lentini), per il duecento e il trecento, per quel Bonvesin de la Riva a cui si rivolge là dove gli è più prossimo (“Disputatio rosae cum viola”) ricordando che Scataglini curerà, nel 1974, per L’Astrogallo di Antognini, il suo editore, Madrigali e altre poesie d’amore di Baldassarre Olimpo degli Alessandri – Olimpo da Sassoferrato -, poeta popolare, frate minorita e predicatore nella Marca cinquecentesca del fiume Sentino. Sempre più prossimi a noi l’antico
e il contemporaneo della poesia di Scataglini per eccellenza di stile e di temi fusi in una parola sapiente e colta, nata dal trauma di una condizione umana e storica, da una originaria geografia del “dentro“ e del “fuori”, dell’effrazione, della diversità e del margine esistenziali e di classe (orti, verzieri, rive, fossati, luoghi fuori mano) eppure specola da cui guardare per cogliere, del mondo, ogni frammento, ogni barlume di esistenza proprio
sul punto massimo dell’esclusione e della esclusività. Meno chiuso si offre oggi l’universo di quest’opera cresciuta all’interno della consapevolezza d’essere scarto minimo rispetto alla lingua italiana e però tutta compiuta e composta nel suo disegno estremo di coniugare deiezione, perdita, privazione, sacrificio, buio (il labirinto, il carcere, il mattatoio) con la luce riscattata della bellezza e dell’armonia (il paradiso, il giardino, la rosa), lingua di chi non ha mai avuto voce. I suoi libri reperibili (La Rosa da Einaudi, El Sol da Mondadori, le poesie giovanili di Echi presso L’Obliquo) confermano, meglio d’ogni altra cosa, l’etimo e l’etica
di quella che Scataglini battezzava come “la passione splendente”
(“El senso del mio testo” in E per un frutto piace tutto un orto, 1973).

Disegno di Franco Scataglini

 

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