III – Lena

Intina da almeno cinquant’anni
vive intrappolata
nella coscienza di una bambina.
Tutto il giorno
vaga tra i padiglioni
abbracciando una bambola
come se fosse l’unica erede
della sua estraneità…
la domenica pranza con noi
esile come una creatura innocente
si ciba d’incanto…
parola dopo parola
diventa sempre più libera
di abitare il suo poema apatico
ma pieno di bambole e silenzi
che pettinano l’ira impavida
dei suoi coinquilini…
la sua follia ha una logica
che la proietta nella libertà:
ha scelto di non essere donna
per contenere l’odore infernale degli uomini.

Fernando Lena
da “La quiete dei respiri fondati

librolena

Fernando Lena è nato a Comiso (RG) nel 1969 dove vive e lavora.
Diplomatosi all’Istituto d’arte ha fatto per alcuni anni l’orafo.
La poesia è stata sempre una dominante nel suo cammino esistenziale abbastanza tortuoso ,in vari periodi di silenzio editoriale ha pubblicato due libri fondamentali
e qualche silloge, il più recente a parte quello edito dalla Archilibri dal titolo
Nel Rigore Di Una Memoria Infetta“, è un poemetto edito Nei Quaderni Dell’Ussero
(Puntoacapo editrice) “La Quiete dei Respiri Fondati” è presente in alcuni blog
ed è stato finalista in premi (Tivoli Europa Giovani, Astrolabio, Vola alta la parola, Torre Dell’Orologio ecc..)

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Una lingua di terra

Non sono io a conoscerti, ma il nome
che si posa sulle labbra ferme,
quell’umido mistero di vocali
dette alle rive d’aria, ad una quiete
di riposo e madre, al consonare
del più muto canto, all’odore del giorno,
al fuoco, all’acqua,
a una lingua di terra familiare.

Francesco Scarabicchi,
da L’ora felice, Donzelli, 2010

Che vuoi da quei tuoi occhi, dagli abissi

Che vuoi da quei tuoi occhi, dagli abissi
di vento e verde che non ha confine,
che vuoi da me che tremo da quest’ora
in cui si perde una canzone bianca
e non ho vita per tenerti ancora,
non ho vita ma il semplice saluto
che ti lascia, carezza mia furtiva,
se scompari e mai più per questa notte
posso con te confondermi, mai più.

Francesco Scarabicchi,
da L’ora felice, Donzelli, 2010

Statue

Angelo - di Raimondo Rossi

 

Statue
a Dante Turchetto

 

Le tue mani direi come di vento

dei molti legni odorosi levigati

e scolpite durezze dentro i marmi

fino a un angelico sfogliarsi

come dai corpi si solleva amore

e noi che non sappiamo dargli un volto

sostiamo ad ascoltare nelle statue

l’eco delle smarrite melodie

 

Maria Grazia Maiorino, nata a Belluno, dopo aver trascorso parte dell’infanzia e dell’adolescenza al sud, approda ad Ancona. Si laurea in lettere all’Università di Urbino con Alessandro Parronchi. Scrive poesie, racconti, saggi di critica letteraria; i suoi testi sono apparsi in riviste e antologie. Ha pubblicato le raccolte di versi: E ho trovato la rosa gialla (prefazione di Guido Garufi, Forum 1994); Sentieri al confine, nell’antologia 7 poeti del premio Montale (Scheiwiller, 1997); Viaggio in Carso (Edizioni del Leone, 2000); Dare la mano a un albero (fotografia e haiku, in collaborazione con Giovanni Francescon e con una nota critica di Paolo Ruffilli (Rocciaviva, 2003); Di marmo e d’aria (Manni, 2005). Nel 2006 è uscito per la peQuod il suo primo romanzo, intitolato L’azzurro dei giorni scuri.
Con la suite Haiku per angeli è presente nel libro di scultura e poesia Angeli di Raimondo Rossi.

Per Alice

 

 

Angelo - di Raimondo Rossi

 

Per Alice
a Paolo De Benedetti

 

Ti sei addormentata

prima che carezze e capelli

si sciogliessero in lacrime

con determinazione hai abbandonato

il capo nel gesto familiare del sonno

dopo l’ultimo sforzo di sollevarlo

per cercare il mio sguardo

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Ciliegio autunnale

 

Angelo - di Raimondo Rossi

 

Ciliegio autunnale

Foglia per foglia se lo fisso

giallo per giallo

vedo alzarsi folte braccia

fuse nel tronco della tua distanza

trema e risplende il ciliegio

sotto la luna

o semplicemente s’infiamma

fiorisce la terra di lettere

come bandierine tibetane

con i loro montuosi profumi

incisi nelle venature delle mani

gialle qualcuna più scura

screpolata accartocciata

non si legge più

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Virginia

 

 

Angelo - di Raimondo Rossi

 

Virginia

Così naturale – diresti – il suicidio

come prendere alcune manciate

di sassi riempite due tasche profonde

incamminarsi nel letto di un fiume e

chiedere all’acqua di unire le voci

nell’unica parola sussurrata

dall’angelo a chi muore

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