Dittico

lorenzo lotto

nostro lunedì n.00 - nuova serie - lorenzo lotto

Bernard Berenson

Lorenzo Lotto fu dunque un pittore psicologo in un età che finì per apprezzare soprattutto la forza e l’apparenza, un pittore che aveva di mira l’anima umana in un’epoca in cui essa veniva rapidamente sacrificata al conformismo, un pittore intimamente evangelico in un paese che un cattolicesimo vuoto e autoritario stringeva sempre più nella sua morsa. Le stesse circostanze di vita gli furono di ostacolo ad acquistarsi la fama. Irrequieto e vagabondo, lasciò a Venezia, sua città natale, pochissime opere, sicchè gli amatori d’arte del Cinquecento, dai quali deriviamo le nostre nozioni correnti sull’arte di quel secolo, non vi trovarono una produzione sufficiente a ispirar loro resoconti entusiastici.

Anche se le circostanze gli fossero state più favorevoli, è probabile che la riputazione del Lotto sarebbe stata oscurata dalla gloria del suo grande rivale, che conquistò, e continuò a dominare, la tensione del pubblico durante l’intero corso della sua lunga carriera.

Una produzione così splendida e rappresentata da una così abile pubblicità, come quella di Tiziano, lasciava ben poco posto alla fama europea di un pittore i cui meriti richiedevano, per essere apprezzati, un occhio più attento e delicato senso della persona umana di quanto fossero comuni negli accampamenti di Carlo V o presso la corte di Filippo II.

Per noi il valore del Lotto è di una specie diversa. Anche se l’arte moderna non ci avesse educati a gustare e ad intendere in meriti tecnici di opere come le sue, il fenomeno di una personalità che trasforma l’opera d’arte in una vera immagine del proprio io è cosi raro, che non possiamo permetterci di trascurarlo.

Una simile negligenza ci è tanto meno concessa, quando si tratta di un tipo di personalità come quella del Lotto, al quale l’Europa si è rapidamente avvicinata nel corso degli ultimi tre secoli: così rapidamente, che oggi ci sono forse cento individui affini al Lotto su uno che gli somigliava quando egli era vivo. Il suo spirito è vicino al nostro forse più di quello di ogni altro pittore italiano del Rinascimento, ed esso esercita su di noi il fascino di un’anima gemella che ci parla da un’epoca lontana.

 

Ultima, poiché non terminata, è da considerarsi la Presentazione di Gesù al tempio (Tela cm. 170×135).

La composizione si scinde in due zone: in alto, la prospettiva di un coro sopraelevato; nella metà inferiore, figure disposte ad un tavolo coperto di un panno bianco. Di seguito a sinistra, Simeone alza le mani esultante, mentre la Vergine genuflessa gli presenta il Bambino, seguita da un gruppo di donne; a destra, una fila di uomini controbilancia le donne del lato opposto; al centro, due accoliti e Sant’Anna. Simeone e Sant’Anna hanno l’aspetto scheletrico e cadente, la fisionomia sdentata e dilavata di coloro sui quali gli anni pesano gravemente: e tuttavia nei loro occhi, in ogni piega dei loro volti, è un’espressione di appagamento nella forma la più esultante che esso può assumere in corpi di così tarda età.

L’attenzione emotiva dinanzi a un evento che tutti gli astanti riconoscono ultraterreno si rispecchia in ogni viso e diversamente in ciascuno. Il Lotto non ci ha mai dato un’opera più meravigliosa, dal punto di vista psicologico; ed altrettanto si può dire della sua materia pittorica, usata con una modernità che richiama certi modi degli impressionisti.

Il giovane alle spalle di Sant’Anna, per esempio, con due chiazze rosse che indicavano le gote, riflettendo il rosso della sopraveste e armonizzandosi totalmente con esso, è singolarmente simile a una figura nella Danza Spagnola Di Manet, già Durand Ruel. La tonalità generale e il disegno suggeriscono invece Degas.

È, insomma, uno dei capolavori del Lotto, e forse una delle pitture più “moderne” dipinte da un pittore del Rinascimento.

Così termina la lunga carriera del nostro artista. Il 14 marzo 1556 il registro della Santa Casa segnava ancora il prezzo di colori e pennelli fatti venire da Venezia per “Lorenzo Lotto, pittore oblato”: nell’autunno di quell’anno, il pittore oblato si spegneva (cfr. Gianuizzi, Nuova Rivista Misena 1894).

È una coincidenza curiosa, che il Lotto abbia finito la sua carriera là dove l’aveva cominciata. Le opere della sua giovinezza si trovano a Recanati, le opere della sua vecchiaia sono custodite a Loreto. Non solo, ma durante l’intera sua vita egli mantenne rapporti con la Marca di Ancona, visitandola di tanto in tanto e inviandovi le sue tele. Anche in questo egli si ricollega alla scuola dei muranesi, che ai paesi della costiera adriatica fornivano le opere d’arte, come i loro concittadini veneziani le mercanzie.

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