Gabriele Via. Senza una parola

“Senza una parola”

Quando un’immaginazione
diventa di tutti
senza una parola
nello zoppo galletto degli eventi…

(…E che viene la neve lo vedo,
per Dio. E che ci telefoniamo:
da te com’è? Dimmi…)

Pure credo quanto credo:
ho parola perché non ce la faccio.
E perché non ce la faccio cammino.

E se per caso m’accorgo
pure se sudando
che nel seme della mela
e nel mese della vita
si nascose un tempo un albero
e che dal fiore nascosto del grano
tracima per il fuoco una pagnotta…
di calli, insistenza, fermento e meraviglia,
la mia parola allora canta
e stupisce ancora
e chiede perdono:
per la colpa di non avere
alcuna responsabilità, e, ma,
essere. Nonostante.

Ho parola perché non ce la faccio.

Amami, scrisse il poeta,
amami ora che non lo merito,
perché è proprio ora
che più ne ho bisogno… Ma
in ogni caso
(e se vuoi ti faccio una rima;
o vallo a chiedere a chi vuoi tu)
abbiamo parola perché non ce la facciamo.

Solo per questo si rivela
un significato: e l’anima si nutre.
Così si ragiona, si ride, si piange.
Perché te ne sei andato?
Così si vive, tra un’onda
e l’altra che si frange,
nel farcela di non farcela
che chiamiamo il mare della vita.

E lo stupore più grande
è quell’attimo in cui vedi
le cose che vengono
e che se ne vanno…
…Senza una parola.

Ecco: è questo che ancora vorresti dire.

Allora indicibile e invisibile
coincidono.
E cosa te ne fai dunque della parola?

Poi ti ricordi di avere capito:
Hai parola perché non ce la fai.

Forse il mistero è tutto qua.

Tratto da “Una disordinata bellezza”

foto Gabo per libro

Gabriele Via è un poeta, filosofo, performer e fotografo. Ricerca l’essere, col fare: drammatico, pratico e poetico. Cammina: due volte dalla Francia a Capo Finisterre
lungo il cammino di Santiago. Studia filosofia, teologia, natura e umanità.
Cucina, suona, plasma l’argilla e apprende i nomi delle cose.

“…dalla pioggia rosseggiante di fuoco e sangue ottenuta con i suoi scatti nervosi consegnati alle parole, Via procede avanti e tende a sottrarsi al funesto delirio
non con rabbiosa insofferenza; a sottrarsi, intendo, piuttosto per osservare
se essa pioggia in forza caduta 
si stia davvero prosciugando sul campo della vita
che è disteso verso l’infinito.
Sottratta al nostro inquieto delirio (dolore) dall’ossessivo e affannoso moto
di nostra madre terra. 
Voglio dire, insomma, che si è raggiunto un ciclo completo,
(alto e completo) nei testi, soprattutto nei testi ultimi di Via,
tale da rendere la lettura e la rilettura una spinta motivata e confortevole,
nonché drammatica, a ricuperare una non estrema
ma rinnovata 
e direi più corposa e più ferma speranza.”
Roberto Roversi

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