Il Museo Diocesano di Ancona

Museo Diocesano di Ancona

Le opere d’arte, in particolare quelle commissionate e realizzate per motivi liturgici, affinché possano esprimere appieno i molteplici significati stratificati e complementari tra loro quali il valore artistico, storico, teologico e devozionale, dovrebbero essere collocate o utilizzate nella o per la loro originaria destinazione. Non sempre ciò è possibile. La raccolta museale, quindi, oltre la salvaguardia e la conservazione del bene, si prefigge lo scopo di tramandare nella loro completezza i valori che connotano le opere d’arte. Questi sono i criteri primari perseguiti nell’allestimento del Museo Diocesano di Ancona che pertanto ha come funzione principale quella pastorale.

Il Museo ha antiche origini: il primo nucleo, composto da materiale proveniente dai lavori di ripristino della Cattedrale e da altri reperti recuperati in altre chiese anconetane, si trovava, dall’ottobre del 1834, nella cripta delle Lacrime sottostante l’altare del Crocifisso della Cattedrale di San Ciriaco come Museo di Antichità Cristiane voluto dal vescovo card. Cesare Nembrini Pironi Gonzaga (1768-1837). Solo dopo il restauro del Duomo, nel 1952, la raccolta venne spostata in alcune stanze del Vecchio Episcopio dove rimase fino al 1972 quando un forte terremoto, che colpì la città, lesionò gravemente il palazzo che la ospitava. Dopo lunghi lavori di ristrutturazione e di restauro, finalmente nell’autunno del 1993 si riaprì, ampliato e riordinato con moderni criteri, il Museo Diocesano, allestito nel Palazzo del Vecchio Episcopio grazie al vivo interessamento dell’attuale direttore mons. Cesare Recanatini. Nel dicembre del 2004 un cedimento della falesia sottostante ha reso necessaria la chiusura del Museo e il temporaneo ricovero delle opere situate nell’ala sottoposta a maggiori rischi nei depositi e nelle sale più sicure. Il 2 maggio 2008, a seguito di una cerimonia ufficiale tenutasi in Cattedrale, è stato, speriamo definitivamente, inaugurato e quindi restituito al pubblico il Museo Diocesano di Ancona. Terminati i complessi lavori di consolidamento della scarpata sottostante il Museo, coordinati dalla Protezione Civile, l’edificio, antica sede vescovile, è stato accuratamente messo in sicurezza e completamente ristrutturato insieme al chiostro: alcuni ambienti sono stati dotati di suggestivi soffitti a capriate lignee che accolgono nuovamente le opere cui se ne sono aggiunte numerose altre. Infatti, durante gli anni di chiusura, si è proceduto al recupero e al restauro di diverse tele del XVII e XVIII secolo tra cui ne ricordiamo una di Domenico Peruzzini (Casteldurante/Urbania, 1602 – Ancona, 1673) che raffigura il vescovo Carlo Nembrini, inoltre, una sala è stata dedicata interamente alla ricostruzione del Calvario settecentesco dipinto su tavola, proveniente dalla locale chiesa del Gesù progettata da Luigi Vanvitelli, un’altra contiene i cinque pregevoli stendardi realizzati da Nicola Bertucci (Ancona, 1710 – Bologna, 1777) con scene della Passione di Cristo. Il tesoro si è arricchito di un messale con coperta d’argento realizzata da Giovanni Valadier (Roma, 1732-1805), di due conchiglie battesimali in madreperla e di una croce dello stesso materiale; l’intera collezione di parati è stata rinnovata con antichi tessuti (databili tra il XVII e il XIX secolo) conservati nei depositi e mai esposti prima d’ora, la scelta ha privilegiato la varietà dei colori liturgici, la particolarità del tessuto e la presenza di stemmi vescovili.

Per la riapertura è stato restaurato con grande perizia un velo omerale in seta bianca del XVIII secolo, ornato da motivi decorativi floreali ricamati con fili policromi e dorati che va a completare la già varia tipologia dei parati esposti. L’inserimento di queste ed altre opere nel percorso espositivo, non ha modificato sostanzialmente i criteri adottati dal direttore del Museo mons. Recanatini nel primitivo allestimento: i preziosi manufatti, ordinati cronologicamente e per tipologia, narrano al visitatore, forse in modo ancora più ricco e completo, le vicende storiche e religiose del nostro territorio.

La collocazione del Museo è senz’altro prestigiosa: il Palazzo del Vecchio Episcopio, situato sulla sommità del colle Guasco prospiciente dall’alto sul porto e sul centro storico, è, insieme all’adiacente Cattedrale romanica di San Ciriaco, la testimonianza e il simbolo degli splendori della città di Ancona. Fu, infatti, sede della Magistratura cittadina fino al XI secolo per divenire poi abitazione vescovile fino alla fine del ‘700; nel 1464 tra le sue mura fu ospitato il papa Pio II che aveva organizzato la partenza di una crociata contro i turchi proprio dal nostro porto, ma, già malato, morì poco dopo nello stesso palazzo che lo aveva accolto senza poter veder salpare le navi per l’impresa tanto agognata; di questa fugace presenza ci restano comunque alcune opere che testimoniano la volontà del vescovo anconetano Antonio Fatati di ospitare degnamente il pontefice; sono infatti esposte nel Museo una preziosa croce processionale in metallo dorato e sbalzato, con smalti traslucidi, turchesi e cristallo di rocca, un evangelistario miniato con coperta in velluto rosso e argento dorato e un piviale in velluto veneziano ornato da formelle ricamate rappresentanti la conversione e il successivo martirio di San Ciriaco. Tra il 1727 e il 1730 abitò nel palazzo il card. Prospero Lambertini, futuro papa Benedetto XIV, in qualità di vescovo di Ancona. Una volta a Roma il pontefice, non dimentico degli anni trascorsi nella nostra città, inviava ogni anno, in occasione della festa del santo patrono, dei doni che, in buona parte, si possono ammirare ancora oggi nelle vetrine della sala del tesoro sotto forma di calici, ostensori e reliquiari e di parati liturgici tra cui sono visibili un piviale, una pianeta ed una mitria; in tutti i preziosi manufatti campeggia lo stemma a bande verticali della famiglia Lambertini a ricordare il munifico donatore. L’allestimento del Museo è organizzato su due piani rispettando i più moderni criteri museografici: impianti a norma, sistemi di sicurezza, superamento delle barriere architettoniche, biblioteca specializzata e vendita delle pubblicazioni. Le opere, distribuite in 18 sale, sono state sistemate sia seguendo un iter cronologico che secondo raggruppamenti tematici. è possibile, quindi, visitando il Museo, ripercorrere i momenti più salienti dell’arte e della storia del nostro territorio.

Le collezioni ivi contenute sono notevoli sia dal punto di vista quantitativo (oltre 400) che da quello qualitativo; esse comprendono complessi scultorei, frammenti lapidei, iscrizioni, pergamene, preziosi tessuti e arazzi, una raccolta di numismatica, oreficeria, terrecotte, tavole e tele dipinte.

Nella prima sala detta delle origini, oltre a materiale lapideo datato tra il I secolo a.C. e il V secolo d.C., troviamo un reliquiario in rame dorato, argentato, sbalzato e inciso la cui esecuzione è collocabile nella prima metà del XV secolo; il pregevole manufatto di oreficeria tardogotica conserva al suo interno una reliquia di Santo Stefano.

Sant’Agostino nell’omelia di Pasqua del 425 ricorda che ad Ancona si conservava già da tempo una antiqua memoria; racconta inoltre che un mercante, che aveva assistito alla lapidazione del protomartire Stefano, raccolto un sasso che aveva colpito il gomito del Santo, lo portò nella città dorica (da notare la corrispondenza della parte del corpo colpita dal sasso e il significato in greco del nome della città: Ankon ossia gomito). L’arrivo di tale reliquia indica la precoce costituzione di una comunità cristiana nel nostro territorio, di conseguenza la prima Cattedrale fu dedicata proprio a Santo Stefano. Il culto di Stefano si protrasse per alcuni secoli, ma venne sostituito da quello di San Ciriaco a cui è intitolata l’attuale Cattedrale, nella cui cripta è conservato, integro, il corpo. All’interno del Museo una sala è interamente dedicata al Santo protettore che, secondo la tradizione, partecipò all’invenzione della Vera Croce per volere di Sant’Elena, madre dell’Imperatore Costantino.

A ricordare questo stretto legame è stata recentemente aggiunta una stauroteca nella cui base è inserita una reliquia del Santo patrono; il reliquiario, realizzato nel primo Ottocento per sostituirne uno trafugato nel periodo napoleonico, dialoga naturalmente con altre opere di differenti epoche, tutte comunque riferite alla figura di San Ciriaco: una scultura in pietra del XIII secolo che lo raffigura in atto di benedire, monete medioevali di Ottone III, Enrico II, IV e V rinvenute nel sarcofago insieme ad un tessuto del X secolo proveniente dal medio oriente, un velluto veneziano del XV secolo con formelle ricamate con le scene più significative della vita del protettore anconetano riproposte, poi, in chiave moderna dall’artista locale Camillo Caglini (Ancona, 1912-1988) in un pannello in bronzo quale bozzetto preparatorio per il portale principale della Cattedrale mai realizzato. Questa commistione, che non segue un criterio né cronologico né tipologico, corrisponde palesemente a quella volontà narrativa che sottende tutto il percorso museale. Alcune opere di eccezionale pregio come il sarcofago di Tito Flavio Gorgonio del IV secolo, l’Evangeliario di San Marcellino del VI secolo e la sua custodia in argento del 1756 ca., il drappo in sciamito di seta che avvolgeva il corpo di San Ciriaco del X secolo, il pluteo in pietra del XII secolo proveniente dalla Cattedrale, la ceramica invetriata policroma raffigurante il Compianto del XV secolo, il Tesoro e le tavole dipinte di scuola marchigiana del XV secolo recentemente attribuite ad Olivuccio di Ciccarello (Camerino ?–1439), giustificherebbero da sole una visita al Museo. Anzi sarebbero sufficienti i quattro arazzi fiamminghi tessuti, all’inizio del ‘600, su cartoni disegnati da P.P. Rubens e commissionati dalla Confraternita del SS. Sacramento che raffigurano le quattro festività principali del cristianesimo: la Natività, l’Istituzione dell’Eucaristia, la Resurrezione e l’Assunzione della Vergine, grandiosi per dimensioni, scenografici per l’impostazione barocca della composizione ed unici per lo straordinario stato di conservazione dei colori dovuta ad un’esposizione limitata nel tempo: ogni arazzo veniva infatti esposto sull’altar maggiore della chiesa solo nel periodo della festività che rappresenta. Il Museo, però, non è stato concepito come mero contenitore di rilevanze artistiche ma secondo un percorso fitto di testimonianze e rimandi della storia della comunità cattolica di Ancona, quindi ogni singolo pezzo è un tassello insostituibile di questo percorso culturale. Diversi sono i livelli di lettura dei preziosi oggetti conservati nel Museo: quello estetico-artistico, quello ico­nologico, tecnico, storico e liturgico-devozionale; es­si, per una completa comprensione del­­­l’opera d’arte, sono inscindibili ed è per questo che personale competente, a disposizione del visitatore, effettua visite guidate che consentono una migliore fruizione del ricco ed eterogeneo patrimonio custodito nel Museo.

Diego Masala
Direttore del Museo Diocesano di Ancona