Lorenzo Vargas – L’eroe delle ere

Parte 4 di 4

Il volto statuario dell’eroe Haddo era macchiato dalla malinconia. I folti baffi biondi puntati verso il basso e gli occhi azzurri deformati in una mandorla di delusione. Il Re:
-Ma come faremo se tornerà il grande Male? Chi ci difenderà?
-Avete un grande esercito, mio Sire. Un regno immenso, capace di affrontare i vivi
ed i morti. Come le ho già detto ormai sono vecchio.
-Ma…
-La scongiuro, mio sire…
Negli occhi dell’eroe Haddo scintillava la supplica. Lui non era come gli altri eroi.
Gli altri morivano giovani, perivano nel tentativo, diventavano Re a loro volta,
ma Haddo era stato diverso.
Aveva condotto la propria battaglia con determinazione, ma senza entusiasmo,
era sopravvissuto all’orribile battaglia col Mogul e si era ritirato insieme alla sua sposa in un castello di campagna. Aveva scoperto di amare la tranquillità molto più della morte e della guerra in cui era cresciuto sotto il dominio dell’avversario, realizzando così di essere un eroe a metà, solo nelle gesta e non anche nel cuore. Con la morte
di Edda, poi, anche la pace conquistata non gli pareva avere più senso.
Aveva tentato di uccidersi, ma la spada magica (che non poteva abbandonare)
lo aveva sempre protetto. Quando infine le voci di un ritorno del Male si erano fatte concrete aveva preso la sua decisione.
Alla sua età non sarebbe sopravvissuto ad un’altra guerra, non avrebbe potuto dormire con i terribili incubi che il Mogul gli aveva inchiodato nell’anima e soprattutto
non desiderava morire nelle fetide segrete di un qualche tetro castello nelle paludi.
Voleva abbandonare quel mondo rugoso ed incurante. Con il fato di nessuno
sulle spalle se non sé stesso. Che la sua ultima, titanica battaglia, fosse contro
un infarto. Non gli importava più.
-… ci sarà sempre un eroe, mio Re. Se il Male tornerà, avrà forti braccia
per affrontarlo. Ma non le mie.
L’eroe Haddo abbandonò la sala nel silenzio.
-E cosa ne sarà di noi, mio Oscuro Signore? Senza qualcuno che ci guidi, cosa faremo?
Per una pura questione di abitudine Morgoth si lasciò andare sul trono e guardò
il popolo del Male, che in realtà era lui stesso. Probabilmente, lontano, qualche prode giovanotto si stava già mobilitando per acquisire qualche straordinario manufatto magico, qualora quel povero, misero Haddo non fosse ancora in vita
per essere sfruttato dal proprio Re un’ultima volta.
Ne ricordò gli occhi tristi nel tempo lontano. Haddo mancava dell’ottusità di tutti gli altri Eroi, che avevano combattuto nei secoli una lotta mai del tutto compresa.
Lo rispettò per questo.
-Sparirete tutti, miei figli. Forse svanirà anche la maledizione che tiene in vita te, ripugnante Bestemmia. Ho disobbedito a lungo al Primo Divieto e combattuto abbastanza a lungo per la nera causa. E’ ora di sorprendere tutti
con un ultimo atto inaspettato!
Ridacchiò tra sé e lo fece con la voce dell’uomo che era stato e non del flagello
dai mille nomi con cui aveva attraversato le ere.
Prese in mano il pendente che in ogni sua reincarnazione aveva portato al collo
e lo spezzò con le sottili dita artigliate. Ne scaturì solo un sottile fumo nero.
-Obbedisco.
Haddo morì solo, in campagna, a sessantacinque anni. Infarto nel sonno.
Contrariamente alle sue previsioni non ci fu un altro Eroe, dopo di lui.
Non ce ne fu nemmeno bisogno.
Il Signore del Male, così come il suo popolo, era al fine svanito in un fil di fumo,
nel rispetto del Primo Divieto che era stato la causa della sua nascita:
nulla può durare per sempre.
Dopo alcuni anni di sospetto e malcelata anticipazione, la popolazione capì
che non ci sarebbe stata nessuna altra grande guerra, che nessun ragazzo
di bell’aspetto e straordinaria capacità avrebbe dovuto imbracciare armi magiche contro un’incarnazione del Male dal nome cupo.
Passò altro tempo e la gente dimenticò anche che quelle guerre fossero m accaiadute.
Le si bollò come leggende. Storie fantasiose per intrattenere i bambini.
Liberata dall’eterna lotta tra il Bene ed il Male, la Storia riprese il proprio moto nei toni
di grigio che l’avevano sempre caratterizzata. Il progresso andò avanti, il mondo cambiò e proseguì sulla sua strada senza campioni manichei che rendessero
più chiaro da che parte stare.
L’unica traccia di quell’era lontana fu un grande monumento, fatto costruire
per il centenario della pace dal nipote del buon Re nella piazza della Capitale.
L’inaugurazione fu una grande festa e vi presenziò addirittura Bestemmia,
defilato in un angolo.
La statua alta più di dieci metri, rappresentava il vero grande Eroe delle Ere,
il fautore di quella pace iniziata cent’anni prima e che sarebbe continuata
per molti altri secoli ancora.
Rappresentava due figure umane, una bianca ed una nera, sedute sul grosso piedistallo di marmo del monumento.
Non sembravano curarsi l’una dell’altra.
La dedica della statua recava il nome del dedicatario del monumento, scritto
ad eleganti lettere graziate:“In onore del primo secolo di pace: alla Reciproca Apatia”

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Lorenzo Vargas. 23 anni, autore esordiente con Bompiani, finalista a Masterpiece, studente di legge (ma è più un hobby) ed ukulelista a tempo perso. Vive nelle Marche
e fa del suo meglio per peggiorare ogni giorno la scena letteraria italiana.

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