Nemica figura

Estratto da nostro lunedì
numero 2 – nuova serie

Paolo Volponi e Urbino

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Il rapporto di Paolo Volponi con Urbino rimanda per cer­ti aspetti a quello di Giacomo Leopardi con Recanati, ma se ne differenzia per altri. Certo, Urbino è una “nemica figura” e questo ci potrebbe ricordare “il natio borgo selvaggio” del re­canatese, ma i modi di sentire le cose, di partecipare alla vita dei due luoghi è profondamente diverso.
Leopardi è come se guardasse tutto dalla finestra: un osser­vatore talora implacabile e talora partecipe, come accade nel Sabato del villaggio e nella Sera del dì di festa.
La donzelletta che arriva con il suo fascio di rose e viole è un’immagine partecipe e delicata come i ragazzini che gio­cano nella piazzetta. Anche la tragica vicenda di Silvia è vista sempre come da lontano, da un punto esterno di osservazione: il recanatese lascia gli studi leggiadri per ascoltare la voce della ragazza. Nota ogni aspetto di Silvia: “gli occhi ridenti e fuggitivi” e lo sguardo schivo. Non c’è alcun distacco derivato da un atteggiamento di superiorità e di freddezza: il distacco è dato da quel ruolo di osservatore che Giacomo si è ritagliato e del quale è ormai impossibile fare a meno anche quando vorrebbe, anche quando desidere­rebbe mescolarsi agli altri magari, come loro, in compagnia di una ragazza.
Volponi parla degli amici, delle ragazze, dei panni stesi sui terrazzi: si capisce subito che vive dentro Urbino e tra la sua gente.
Del resto l’urbinate amava frequentare le osterie e i personaggi più diversi, con una predilezione verso quelle figure popolari, magari molto particola­ri, di cui Urbino è sempre stata estremamente ricca.
Del resto i personaggi dei suoi romanzi sono caratterizzati da specifici tratti comportamentali quando non sfiorati o addirittura colti dalla follia. Ma è soprattutto verso i campi e la loro gente che si rivolge lo sguardo dell’autore. Le porte dell’Appennino sono dotate di un robusto spessore antropologico e sociologico. C’è il lavoro sulla terra distinto e suddiviso per le varie stagioni dell’anno.
L’autore ha sicuramente tenuto presente gli almanacchi e i calendari che erano gli unici libri nelle case dei contadini del Montefeltro. Anche la bandiera rossa, negli anni del dopoguerra, dominante tra le genti del Mon­tefeltro, più che un simbolo rivoluzionario è un santo di confine, un’ icona religiosa a cui affidarsi nella speranza del cambiamento. E Volponi registra anche il fenomeno della fuga dalle campagne verso la costa. In questo periodo lo scrittore non ha quelle posizioni marxiste che caratterizzeranno la sua età matura. Eppure, con una saggezza quasi arcaica, sostiene che la salvezza si può dare solo sotto il segno dell’unione.
Nessun passero si salva da solo volando via dal nido. E poi c’è la vita quoti­diana, la pentola che bolle nel fuoco, il roseto accanto al pozzo, gli uomini con le giacche di velluto odorose di polvere da sparo e di tabacco. In una delle sue più significative poesie Volponi passa in rassegna le più belle ragazze che abitano le valli del Metauro e del Foglia. Nomi e cognomi, i tratti specifici della loro bellezza: sembra un catalogo degli eroi, la sfilata dei guerrieri nell’Iliade e in altri poemi epici.
E poi l’attenzione premurosa verso le donne, sia quelle che danno la mano da dietro il cancello da toccare, vergini come sante, sia quelle che si sono perse per amore ed ora fanno le iniezioni e gli impacchi: sono restate sole per colpa di quell’amore al quale si sono abbandonate e che la dura socie­tà contadina del tempo non può assolutamente perdonare. Lo sguardo di Volponi non coglie solo le figure umane, ma si rivolge anche al paesaggio descritto e vissuto in modo preciso e dettagliato.
Nei suoi primi libri, nel Ramarro e nell’Antica moneta, lo sguardo si posa sulle piante e ancora di più sugli animali. Il bestiario dell’urbinate ricorda Pascoli e Bartolini: è stupefacente la conoscenza delle stirpi degli uccelli riconosciuti anche attraverso i loro canti e i loro suoni.
In Leopardi il paesaggio è descritto per campi lunghi e medi, in Volponi prevalgono i piani ravvicinati e i particolari. Il mondo animale è vissu­to con una dimensione fraterna che coinvolge la cugina volpe, la goffa averla, l’ingordo tordo marinaccio. Dunque Urbino e le terre intorno sono sempre presenti in modo concreto e parte­cipe nelle poesie e in molti romanzi di Volponi. Sì, l’amore di Volponi si estende al Montefeltro e direi, in particolare negli ultimi anni, alle Mar­che tutte. Basterebbe pensare all’ambientazione dei suoi romanzi: Urbino è lo scenario di Sipario ducale e della Strada per Roma.
A Pergola si svolgono le vicende raccontate nella Macchina mondiale, a mio parere il più bel ro­manzo dell’urbinate. Fossombrone degli anni ’30 attraversati da un sentore di guerra, di tragedia e di follia, rivive nel Lanciatore di giavellotto. Le cesane sono il luogo dove il protagonista di Corporale costruisce il suo folle ed improbabile rifugio atomico, che pure risponde alle paure e alle ossessioni di quegli anni.
Ritornando ad Urbino, l’amore per la sua città non impedisce il più severo dei giudizi. Urbino è troppo bella ed importante perché possa es­sere governata dagli urbinati, ci vorrebbe una qualche autorità, magari di carattere interna­zionale per preservarla.
Ma non si tratta solo di preservarla, Volponi guarda più al futuro che al passato anche se sa benissimo raccontare quest’ultimo. L’urbinate sognava per la sua città una facoltà di agra­ria che sapesse comprendere e valorizzare una vocazione contadina.
Ma non al mondo arcaico si rivolgeva Volponi, bensì a un’idea di terra coltivata in modo atten­to e rispettoso, ma con tutti i criteri della mo­dernità. Nella Strada per Roma il protagonista in viaggio verso la capitale s’affaccia dal finestrino del treno: i campi attorno a Jesi sono coltivati e ben tenuti, vigneti ed oliveti ci dicono la fatica dell’uomo, ma anche la ricchezza e la gioia del lavoro.
Così diversa la campagna jesina da quella urbinate, bellissima certo, ma anche arcaica, so­stanzialmente abbandonata e improduttiva.
Un amore vero pretende anche una critica severa: questo il difficile rapporto di Volponi con Urbino.

Umberto Piersanti

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