palazzo Gisberti

marco ferri
tratto da nostro lunedì numero 4 – prima serie – scataglini

L’intonaco perde pezzi
e dalle chiazze affiorano rosa
e celesti scaduti. Cartografie
da sussidiario, gonfie d’umidità.
Riverbera sotto il porticato
il crepitare delle gocce
sulle piastrelle del cortile.
Restiamo silenziosi a guardare
le folate d’acqua e vento sui muri
mentre nei sotterranei del palazzo
si muovono gli scheletri sotto manti
di spessa polvere, toccati dall’aria
che passa per le vecchie porte…

La storia dei tappi
della birra Pílsner o Dreher,
in lunghi battaglioni sui letti
e sulle pianure dei pavimenti,
sul marmo freddo dei comodini
avendo tolto suppellettili e merletti,
intruppati con il loro stridere
di latta e destini variegati,
il lappare dei drappelli e l’urlo
dell’armata, finché qualcuno,
provenendo dalla cucina,
apre la porta e dà un’occhiata
alla carneficina.

Il cuoio inebriante della borsa
a tracolla e della guaina
del coltello, l’opportuna sacca
della borraccia, una coperta
stesa sull’argine di un fiume, in ascolto
di sinistri fruscii, rami spezzati
e uccelli, toccando la tasca armata,
con Bleck Macigno e il professor Occultis,
quel panzone. L’acqua gorgoglia dal becco
della fontana, nella vasca.
Fino a sera.

Berlino, Budapest, Praga…
Nell’angolo della sala da pranzo
piena di mobili, la radio accendeva
misteriosi verdi. Era più comodo
il salottino di vimini, ma era freddo.
Più freddo, prima del bagno,
c’era un oscuro ripostiglio
di puzze: molti calzettoni di lana,
la gomma degli stivali, i velluti
delle giacche, l’acre sentore degli stampi
delle pavoncelle. C’è finita una gru,
sul divanetto, dai cieli nevosi
di marzo, e aveva ancora un’anima
molle e slegata.

Palazzo Gisberti era un palazzo del Settecento, piuttosto cadente,
lungo via Montevecchio, di fronte al Vescovado, ed è stato abbattuto nel 1963.

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