Leopardi al Salone Del Libro di Torino!


Leopardi
è stato il “protagonista” del Salone Internazionale del libro di Torino, che ha visto anche la presentazione della mostraGiacomo dei libri. La Biblioteca Leopardi come spazio delle idee”, organizzata nel bicentenario dell’apertura al pubblico della stessa.

All’interno dello spazio dedicato a nostro lunedì, è stato messo in scena il reading de “L’intervista impossibile” di Lucilla Niccolini con un “Giacomo attuale“, tratta proprio dall’ultimo numero della rivista “leopardi – il pensatore pericoloso”, recitata dagli attori Sonia Antinori e Marco Imparato.

Ve la riproponiamo per voi oggi!

L’INTERVISTA IMPOSSIBILE
Di Lucilla niccolini

Un intellettuale dovrebbe essere sempre disponibile a confrontarsi con gli altri sulla storia e sull’umanità: ma quando gli si chiede di pontificare su questioni contingenti, con un giudizio inevitabilmente pesante, spesso irrevocabile, nonostante sia per sua natura effimero, non si può dar torto a un opinionista di rango ma non di professione com’è Giacomo Leopardi, defilato, lontano dai microfoni come dai salotti televisivi. Ma tanto più cresce la curiosità sulle sue opinioni, quanto più la sua indole ritrosa e la sua acribia critica sempre all’erta dissuadono telecamere e anchorman.

 E c’è chi la considera – ci perdoni, maestro – “una persona insopportabile”… È d’accordo?

 “Cosa rarissima nella società, un uomo veramente sopportabile”, e intanto stringe gli occhi impenetrabili e insieme umidi di inguaribile curiosità. Non sembra offeso, semmai rassegnato. Per una volta, divertito.

La sua fortuna letteraria non accenna a declinare: migliaia le traduzioni in tutte le lingue del mondo delle sue opere maggiori; una fama senza confini. Ma che opinione ha, lei, del panorama librario attuale: le librerie ricevono ogni giorno centinaia di nuove pubblicazioni. Che ne pensa?

“Molti libri, oggi, anche di quelli bene accolti dalla critica e dal pubblico, durano meno del tempo che è bisognato a raccoglierne i materiali, a disporli e comporli, a scriverli. Se poi si volesse aver cura della perfezione dello stile, allora certamente la durata della vita loro non avrebbe neppure proporzione con quella della loro produzione; allora i libri sarebbero più che mai simili agli insetti effimeri, che vivono nello stato di larve e di ninfe per lo spazio di un anno, alcuni di due anni, altri di tre, sempre affaticati ad arrivare allo stato di insetti alati, nel quale non durano più di due, di tre o di quattro giorni, secondo la specie; e alcune non più di una sola notte, tanto che mai vedono il sole”.

Come dire che talvolta la carta vale più di quello che vi è stampato sopra. Ma la fama non può essere un bene effimero. Non può durare che lo spazio di un mattino.

“È osservazione antica, ma sempre valida, che quanto decrescono nelle nazioni le virtù vere, tanto crescono quelle millantate, e le adulazioni. E similmente, a misura che decadono le lettere e i buoni studi, aumentano di magnificenza i titoli di lode che si danno agli scienziati e ai letterati, o a quelli che in siffatti tempi sono tenuti per tali”.

 Sicché per lei è tutta gloria di facciata, quella che oggi innalza personaggi che basta poco a ritenere dei geni?

 Riflette un lungo minuto, poi, con un’espressione enigmatica e malinconica, sposta i termini della questione: “Gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici. E sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito”.

 Ma ha così poca stima dell’umanità?

 “Mi diceva pochi giorni or sono un amico, uomo di maneggi e di faccende, che anche la mediocrità è divenuta rarissima; quasi tutti sono inetti, quasi tutti insufficienti a quegli uffici o a quegli esercizi a cui necessità o fortuna o elezione li ha destinati”. “Vede – riflette e continua – due verità che gli uomini generalmente non crederanno mai: l’una di non saper nulla, l’altra di non essere nulla. Aggiungi la terza che ha molta dipendenza dalla seconda: di non avere nulla da sperare dopo la morte. Nessun filosofo che insegnasse l’una di queste cose avrebbe fortuna né farebbe scuola, specialmente nel popolo, perché oltre che tutte e tre sono poco a proposito di chi vuol vivere, le due prime offendono la superbia degli uomini, la terza, come le altre due, vuole coraggio e fortezza d’animo a essere creduta, e gli uomini sono codardi, deboli, d’animo ignobile e angusto, docili sempre a sperar bene perché sempre dediti a variare le opinioni del bene secondo la necessità”.

 Non è per niente una prospettiva consolatoria. Osserva anche lei che l’uomo moderno, a misura che aumenta la sua speranza di vita, tende a rimandare la consapevolezza della vecchiaia?

“Eh, sì: grande studio degli uomini mentre sono immaturi è di parere uomini fatti e quando sono uomini fatti di parere immaturi”.

Una forma di insicurezza, questo aggrapparsi alla giovinezza, vera o presunta: nasce forse da quello stesso bisogno della felicità, che faceva aborrire ai poeti antichi l’idea della vecchiaia?

 “La gioventù si chiama bella come si chiama bello un color vivo. La felicità che cos’è? Il piacere. E qual piacere è maggiore che i piaceri giovanili?”. Ma poi si accalora: “La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno, il vero bisogno come quello di cibarsi, perché chi non possiede la felicità è infelice, come chi non può cibarsi, patisce la fame. Ora questo bisogno, la natura ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo”.

 Ma la vecchiaia non porta con sé anche valori forti, solidi, come la saggezza dell’esperienza?

Aggrotta le sopracciglia: “… e invece un vecchio (oggi in Italia, almeno), in una compagnia è lo spasso, il soggetto dei motteggi di tutta la brigata. Non è solo disprezzo: trascuranza, non assisterlo, non prestar loro quei servizi, quegli aiuti, il cui commercio è il fine e la causa della società umana, dei quali i vecchi hanno tanto più necessità che gli altri”.

 Anzi, dei vecchi si ride oggi più di un tempo, e oggi come allora si odia e si schernisce la canizie. Nulla è cambiato?

Improvvisamente sornione: “Gli uomini perlopiù ridono di cose che in effetto sono tutt’altro che ridicole e spesso ne ridono proprio perché non sono ridicole e tanto più ne ridono quanto meno elle sono tali. Delle cose veramente ridicole, nella società o negli individui è ben raro trovar chi ne rida”. E sorride, di quel suo sorriso timido e insieme protervo. Il sorriso dell’intelligenza.

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