Ultimi libri

Estratto da nostro lunedì
Numero 2 – nuova serie

Paolo volponi e Urbino

Negli ultimi libri di Paolo Volponi il conflitto tra la misura umanistica e ilcaos della società neoliberista porta a combustioni molto forti. “Siamo infettati, contaminati, appestati. E corriamo” dice nel dialogo a due voci con Francesco Leonetti ne “Il leone e la volpe”, libro che rimette in circolo tutto il pensiero e la sua storia di scrittore e uomo di industria, di parlamentare del PCI, quella dell’intellettuale nato nell’umanesimo rinascimentale di Urbino. Di questo luogo ideale, in contrapposizione estetica con le città del mondo globalizzato, del suo habitat e di ciò che resta del suo mondo animale, lo scrittore marchigiano invece dà conto in una raccolta di scritti giornalistici uscita postuma, “Del naturale e dell’artificiale”. A questi due libri si può aggiungere un altro testo, lontano per uscita ma vicino per agone del Volponi più politico dell’ultima stagione, quello “inviso al Capitale”, cioè i suoi interventi parlamentari raccolti da Massimo Raffaeli nel volume di inediti “Parlamenti” (Ediesse, 2011). Sono tre testi dell’intellettuale che più di ogni altro oppone il suo pensiero a quel trapasso che con il declino della civiltà industriale passando per la manipolazione dei media porta fino all’oggi, cioè a quel “Finanzcapitalismo” (Einaudi, 2011) di cui Gallino ha scritto un suo libro di mirabile lucidità saggistica e lui aveva visto già nel suo ultimo, definitivo capolavoro che è già un classico, cioè “Le mosche del capitale”. La sua interrogazione, se pensiamo che arriva dal lontano 1994, angoscia ancora di più di una profezia: “Ciò che mi domando è: come mai siamo giunti al punto che la sola materia materiale diventasse il denaro. E come si fosse annullata la profondità del mondo.”
Di questo cambio di passo del capitalismo mondiale, e proprio di mondo vero e proprio, forse uno dei passaggi antropologici più traumatici della nostra storia, sono testimonianza anche alcune operette morali con al centro la natura affidate alle pagine culturali del Corriere della Sera, dove Emanuele Zinato, curatore delle Opere presso Einaudi, individua l’animale come “una trasparente figura dell’inconscio ma anche un elemento residuale di realtà entro la vittoria delle pratiche de realizzanti”, da legare ad un altro libro più che mai attuale, l’apologo leopardiano “Il pianeta irritabile”. Anche nella scrittura di questi pezzi, nel passo e nel loro farsi c’è una opposizione di stili e di ritmi. Nella prosa dei paesaggi marchigiani, o nella descrizione del passero, del toro o dei gabbiani, la lingua ha una sua dolcezza e armonia, una naturale propensione alla lentezza, mentre nella scrittura che descrive la dinamica sociale ritorna prepotente quel ritmo di una meccanica fatta di ingranaggi col gusto della catalogazione tipica del suo modo di raccontare nello spazio del romanzo, una lingua che assorbe, digerisce e rilancia come una turbina la sua energia che sembra inesauribile.
La sconsolata riflessione finale, più che una perla di saggezza come sembrerebbe è sarcastica: “Da vecchi non si è più “neutrali”.
E si capisce ancor meglio, e dolorosamente, che nessuna cosa lo è, neutrale. Nessuna, neppure fenomeni naturali come il vento o la pioggia.”
Quello che troviamo però avvilente è che in un paese dove ormai un Meridiano non si nega a nessuno, e si pubblicano più i presunti Maestri vivi che i morti, e si è inventato questo “classico contemporaneo” che più che una operazione filologica è basso mercato editoriale, se si vanno a cercare i libri di Paolo Volponi su Ibs la voce “Attualmente non disponibile” è quella maggioritaria. A parte “Le mosche del capitale”, ristampato nel 2010, e un “Memoriale” in economica, entrambi Einaudi, tutto il resto non c’è più.

Scomparsi “Corporale”, “La macchina mondiale”, figuriamoci se c’è “Il pianeta irritabile”, per non parlare della produzione in versi. Mentre imperversa il giovane scrittore di romanzetti di formazione italici che adopera la lingua omologata del talk show e del gossip, che più dell’ombelico narra il nulla dei suoi capelli. Come nello spassosissimo “Via col vento” dove Volponi racconta nientepopòdimenoche “la testa del Prof. Alberoni”, un vero e proprio virtuosismo di stile, cioè l’intellettuale servile, l’entertainer che “massaggia” alla McLuhan, riempie lo schermo di vuota irrealtà, ed è metafora dell’Epoca debole: “Infatti il prof. Alberoni costruisce, non si sa se più con l’ispirazione di un grande artista appunto rinascimentale o con la bravura di un artigiano positivista, imprenditore puritano, un miracolo di rigogliosa e stabile capigliatura là dove di capelli non c’è più nemmeno l’ombra.”

Angelo Ferracuti

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