CAMERA ANIMATA

CINQUE ARTISTE MARCHIGIANE DAL SEGNO AL FILM

di Bruno Di Marino

L’animazione è forse uno dei pochi campi dell’audiovisivo dove le donne si sono imposte con la loro creatività. E non da oggi. Ma in un’epoca dove la questione di genere è diventata predominante non ha molto senso fare questioni di genere e questa mostra, che abbiamo intitolato Camera Animata riferendoci sia alla “camera” intesa come macchina da presa che come Wunderkammer, vuole semplicemente porre l’attenzione sull’attività di cinque artiste che, tra le altre cose, sono marchigiane di nascita e/o di formazione. Una coincidenza? Non proprio, dal momento che nelle Marche esiste una delle scuole più prestigiose in questo campo, l’Istituto d’Arte di Urbino, che ha sfornato generazioni di animatori dal dopoguerra a oggi. La scelta di riunire insieme quattro donne che hanno iniziato a lavorare tra fine anni novanta e inizio 2000, come Mara Cerri, Magda Guidi, Claudia Muratori e Beatrice Pucci, mettendole a confronto con un’animatrice storica, Rosa Foschi, la quale ha realizzato i suoi film tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta per proseguire poi con la sua attività di poetessa, fotografa e disegnatrice, nasce proprio dall’idea di creare una continuità tra esperienze molto simili, pur nelle loro differenze tecniche e stilistiche.

Camera Animata vuole evidenziare il percorso dal segno al film compiuto da queste rigorose autrici che lavorano con l’animazione muovendosi però nell’ambito dell’illustrazione e delle arti visive. Un percorso che si articola attraverso il disegno, l’elemento scultoreo e oggettuale, la fotografia, l’elaborazione digitale dell’immagine. Un percorso che assume forme narrative e sperimentali, attraverso una visione installativa o monocanale. Il tutto generando un immaginario espanso dove gli schermi in loop dialogano con le opere, rivelando agli occhi dello spettatore le fasi di un processo
creativo che negli spazi della Mole diventa collettivo e condiviso.

Mara Cerri e Magda Guidi, che da anni collaborano insieme e sono già autrici di un altro cortometraggio di successo, Via Curiel 8, propongono negli spazi della Mole un wallpaper costituito dai disegni del loro film Sogni al campo. La campagna da cui si intravede il palazzo ducale di Urbino diventa lo sfondo di una narrazione sospesa tra la vita e la morte, ma è soprattutto il luogo fatale e poetico di un rito di passaggio, che le due autrici mettono in scena mediante uno stream of consciousness mnemonico-visivo, fatto di immagini disegnate in continua trasformazione.

disegno film

Disegni su carta per il film “Sogni al Campo”, 2020. Di Mara Cerri e Magda Guidi

Claudia Muratori e Beatrice Pucci hanno invece scelto di non concentrarsi su un solo film, fondendo insieme più esperienze cinetiche girate nell’arco di oltre vent’anni.
Pucci presenta insieme pupazzi e oggetti di scena dei suoi film, mostrandoci il lato tridimensionale dell’animazione, realizzata in stop motion.
La sua personale rilettura delle fiabe – a partire da quelle trascritte da Italo Calvino nella sua meritoria opera di valorizzazione culturale e antropologica – assume a volte risvolti poco rassicuranti, nella tradizione stessa della favola che riveste la funzione di mito perturbante. Il pupazzo animato – da Svankmajer ai Quay Brothers – proprio in quanto “cosa” che si carica di una propria esistenza autonoma, incontrollata e imprevedibile, è in grado di risvegliare quelle paure ancestrali che albergano dentro di noi. Su una pedana possiamo così vedere le creature che, sullo schermo accanto, prendono vita e diventano protagoniste di narrazioni metafisiche.

fotogramma soil is alive

Fotogrammi dal film “Soil is Alive”, 2015. Di Beatrice Pucci

Molto diverso stilisticamente – ma non meno denso di suggestioni oniriche – è invece l’immaginario di Claudia Muratori che, partita due decenni fa da film monocromatici basati su forme minimaliste come Potentia e o Sospesa, è approdata negli ultimi anni, grazie all’ausilio delle tecnologie digitali, a composizioni basate su colori elettrici e texture pittoriche, dove comunque prevale l’essenzialità del tratto. Un’animazione pulsante e luminosa in cui le immagini in movimento e le stampe digitali si ricompongono insieme, restituendo un’idea di continuità nella frammentazione, a cominciare da quella dei corpi smembrati e poi riassemblati.

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Fotogrammi dal film “Plusoumoins”, 2015. Di Claudia Muratori

Al disegno, alla stop motion e all’animazione digitale si aggiunge una tecnica ulteriore, quella utilizzata da Rosa Foschi per i suoi sei cortometraggi prodotti mezzo secolo fa dalla casa di produzione romana Corona Cinematografica. Découpage, collage fotografico e truka costituivano il procedimento più utilizzato all’epoca per realizzare in poco tempo (un mese circa) lavori destinati a concorrere ai Premi qualità ed essere poi proiettati nelle sale, abbinati ai lungometraggi a soggetto. Amour du cinéma, Ma femme e Amore e Psiche sono i tre film scelti per questa esposizione, messi a confronto con la produzione di acquerelli – tutti eseguiti tra gli anni novanta e i 2000 – e di alcune fotografie (tra cui i tre autoritratti dell’artista con il Pinocchio) che, oltre a indicare la necessità da parte di Foschi di utilizzare media diversi, sottolineano la contiguità di un discorso visuale che prosegue ben oltre l’esperienza filmica, interrotta forse troppo presto, per dedicarsi all’insegnamento, alla poesia e a mostre di pittura. Da qualche parte nel caotico archivio di Foschi (e del suo compagno di una vita Luca Patella) potrebbero esserci nascosti anche alcuni dei collage originali filmati all’epoca sotto la camera verticale, ma purtroppo non hanno ancora rivisto la luce. Peccato, poiché sarebbero stati il tassello mancante per ricostruire un immaginario dove, tra l’altro, l’elemento grafico e il lettering, i riferimenti al fumetto e all’universo pop, non sono certo secondari e cuciono insieme le diverse sequenze dei film. Camera Animata, in conclusione, è l’occasione non solo per celebrare un’arte ancora poco valorizzata come quella dell’animazione e dell’animazione nostrana in particolare, ma anche per mostrare meglio quanto e come essa sia riconducibile al contesto delle arti visive, ampliando così la nostra cultura visuale, all’insegna di una vocazione in cui l’estetica dell’intermedialità non sia una vuota e banale formula alla moda, ma sia invece foriera di nuovi scambi, sviluppi e prospettive.

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