Autoritratto

Il ciuffo storto con l’occhio e piange
secco sventure immaginarie.
La camicia a macchie
la destra sempre sul cuore
è un ragazzo o una ragazza?
Forse una tunica insanguinata.

*
Se tu sei quella canzone
che una volta s’ode
per ricevuta grazia o merito
meglio vocato caso
e che da lì precipita giardini,
compatti sistemi evolutivi
nel cuore,
l’aria piana in fra le valli di dio
benedetto il suo proteggerti
nel cammino finché io
l’ascolto,

ascolta io la vedo e la sento
innamorata così addentro
ché so la bugia del tuo mancare.

*

Federica D’amato

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Casa Vacanza “LE CIVETTE” – Morro D’alba (AN)

La casa vacanza Le Civette si trova nel centro storico del comune di Morro d’Alba, piccolo borgo collinare della provincia di Ancona, adagiato sui declivi tipici del paesaggio marchigiano tra i suggestivi colori dei vigneti.

Il progetto, legato al tradizionale impegno della Committenza nella valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti, ha visto la trasformazione della primitiva sede aziendale (un vecchio edificio posto ai piedi dell’antica cinta muraria del paese) in una struttura che oggi ospita cinque mini appartamenti (ciascuno con superficie di circa trentacinque metri quadrati) dotati di zona notte all’ingresso, kitchenette, servizi attrezzati con doccia, che si affacciano sulla scarpa di cinta medioevale – perimetro del centro storico – e sulle colline circostanti. Visto dalla strada l’edificio non svela quello che ha in serbo per il visitatore. Dietro la semplicità di un datato intervento di ristrutturazione il progetto di interior design si snoda, senza strappi o disarmonie, lungo un canale cromatico, declinato nelle varie nuance del marrone e del grigio che identifica gli spazi di distribuzione, gli appartamenti, gli spazi comuni e gli ambienti accessori originando un armoniosa integrazione tra il concept estetico e le esigenze pratiche e funzionali. Dopo un lungo intervento di ripristino con vari livelli operativi volti al completo recupero edilizio degli ambienti con il consolidamento delle murature, il ripristino delle reti di smaltimento fognario e la posa in opera di tutti gli infissi esterni in legno, si è provveduto alla totale coibentazione termo/acustica dell’involucro e all’ identificazione degli spazi funzionali (la cui definizione si è necessariamente legata ai regolamenti regionali vigenti) utilizzando esclusivamente la tecnologia del cartongesso; si è poi provveduto, utilizzando la notevole altezza degli ambienti, ad un agevole collocamento in quota degli impianti di climatizzazione, a quelli legati alle energie rinnovabili, agli impianti elettrici e di gestione, agli impianti idraulici.
L’impianto della casa vacanze si sviluppa partendo da un piccolo foyer che distribuisce, al piano terra: un lungo corridoio, tre appartamenti, un locale tecnico e, attraverso la scala interna o l’ascensore, al piano seminterrato: ulteriori due appartamenti, un locale tecnico e la zona relax comune per tutti gli ospiti. Motivo ricorrente che lega e identifica ogni ambiente, mantenendo comunque la stessa linea cromatica, è rappresentato dal parato vinilico, con motivo floreale di notevole impatto decorativo, posto in opera in gran parte delle superfici murarie verticali e orizzontali.
Allo sviluppo dell’idea concorrono l’utilizzo di alcuni materiali di memoria – legno di rovere per i pavimenti delle camere o travertino Santa Caterina per la pavimentazione delle parti comuni e in alcuni casi per i rivestimenti – il taglio e le finiture degli arredi realizzati su progetto, il design e la qualità degli arredi di serie, la scelta delle tappezzerie – tende e parati – il dosato apporto dell’impianto di illuminazione.

Gabriele Solustri

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Studio di Architettura Gabriele Solustri – Ancona
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Lirici Greci   / Francesca Di Giorgio

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Allergia 1963

Biblioteca di nostro lunedì – 1

Massimo Ferretti
(1935-1974)

In questa trattoria di gente stanca
dove mangiare significa reagire,
dove la grazia d’una dattilografa
si percepisce nel tono delicato
d’un piatto di fagioli chiesto tiepido,
dove un viaggiatore analfabeta
emancipato per via dello stipendio
spiega a una turista anacoreta
che il rialzo dei biglietti ferroviari
dipende tutto da questioni atlantiche –
non ho ragione d’essere contento
se il cameriere lieto della mancia,
leggendo la commedia del mio viso
m’ha detto che ho una maschera da negro?

In questa trattoria di gente ottica
dove non so salvarmi dagli sguardi,
condannato al sentimento della morte,
serrato tra furore e timidezza –
non ho ragione d’essere felice
quando divoro una bistecca che fa sangue?

Il mio complesso è una tragedia antica:
devo scrivere e vorrei ballare.

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MAR – Museo d’arte della città di Ravenna

Pensando alla città di Ravenna, vengono alla mente immediatamente i  grandi fasti dell’impero bizantino che l’hanno resa protagonista  nel IV e V secolo,  periodo in cui venne istituita  capitale d’Italia per ben  tre volte. Molto è rimasto, testimonianza viva all’interno della città di un passato unico e glorioso, tanto da essere giustamente inserita nella lista delle città patrimonio dell’Umanità Unesco. Si pensi per esempio a Sant’Apollinare Nuovo che conserva il più grande ciclo musivo del periodo, il Battistero degli Ariani, San Vitale, e molti altri.

Tanto splendore rischia ovviamente  di offuscare in parte il resto,  ma la città presenta  un’evidente evoluzione artistica per nulla trascurabile. Tangibile e vibrante ad esempio nel Museo d’arte della città il Mar. In questo museo si cerca di presentare al meglio l’evoluzione storica e stilistica e ha aperto le porte all’arte in maniera totalizzate, mantenendo una vitalità tutt’ora molto evidente che viene presentata iconograficamente attraverso i pezzi d’arte esposti al suo interno.

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Sappiamo ancora parlare ( e ascoltare )?

«Ci stiamo abituando a stare con una persona e contemporaneamente a essere da un’altra parte. Ormai ci aspettiamo più dalla tecnologia che dagli altri, non sappiamo più conversare, essere pazienti, ascoltare rispettando i tempi del nostro interlocutore. Stiamo perdendo la profondità».
Queste sono le parole della psicologa e ricercatrice al Massachusetts Institute of Technology, Sherry Turkle che ormai da 15 anni studia l’impatto psicologico delle tecnologie sulle nostre relazioni interpersonali, passando purtroppo dall’entusiasmo allo sconforto.
Questo concetto viene meglio chiarificato leggendo l’intervista del capo mondiale del design di Nokia Marko Ahtisaari, sul nuovo numero di Wider America dove racconta di una coppia al ristorante il giorno di San Valentino:
«Erano assorbiti dal touch screen del proprio smartphone anziché l’uno dall’altra. Il continuo evolversi dei telefonini, con schermi sempre più grandi e innumerevoli contenuti, catturano completamente la nostra attenzione isolandoci da ciò che ci circonda e facendoci vivere un’esperienza mobile completamente “immersiva”. Per me, invece, è importante che le persone si guardino negli occhi sempre, non perdano un solo istante di socialità. Qualcosa va migliorato».

La parola parlata sta diventando sempre più sconosciuta: è frammentata, interrotta, depotenziata. Questa, che ci piaccia o no, è la realtà di oggi come spiega Daniele La Barbera presidente della Società italiana di psicotecnologie e clinica dei nuovi media
Quando comunichiamo in una chat il nostro assetto emotivo cambia rispetto all’ordinario. Internet, social network e cellulari sono diventati dei facilitatori emozionali, ci fanno dire cose che a voce, di persona, non diremmo mai. Ma le emozioni così non si consolidano. Ecco allora la dispersione relazionale e l’incapacità di vivere rapporti profondi e stabili»,
Queste dichiarazioni devono essere per noi spunto di riflessione su come “sia cambiato il nostro modo di essere presenti e assenti ogni giorno” come dichiara il docente Federico Tonioni, responsabile dell’ambulatorio per le dipedenze da internet.
Sicuramente oggi abbiamo la possibilità di essere in contatto con persone lontane, e questo è sicuramente uno dei lati positivi della nuova comunicazione, ma forse dobbiamo cercare di non dimenticare di coltivare nel miglior modo possibile i rapporti con chi abbiamo vicino.

Tutto ciò sta accadendo anche perchè, è importante notare il fatto, non poco rilevante, di come la tecnologia sia passata da una impostazione statica, legata al personal computer, delimitata quindi in uno spazio fisico e in un orario, ad uno scenario mobile, avvenuto grazie l’invenzione degli smartphone, che non pongono più nessun limite.
Una volta per salvaguardare la coppia si raccomandava di non mettere la tivù in camera da letto. Adesso gli esperti ci suggeriscono di spegnere il telefonino. Speriamo che basti.

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Inverno (viola violetta)

Tastare i segni della vita
volle l’eletto alla visione
della rosa contro fitto
quel grigio a strapiombo
su dal cielo. Mancavano
coraggio e abbandono al silenzio
del momento, la legna
nel fuoco che parla a sé
di chi la guarda. Mancava
la novella dell’amata.
Gelava anche il nero della valle
che dall’occhio usciva vinta
tra l’angolo e la fuga d’una viola.

Viola violetta non c’è rivolta
che in te consumi quest’assenza
ferita dal sangue della voce.

Federica D’Amato

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La scultura e la poesia: intervista a Valeriano Trubbiani

Ancona, novembre. Alla Mole Vanvitelliana, in uno spazio straordinariamente suggestivo e nell’allestimento in tutto degno di un artista tra i maggiori del nostro tempo, Valeriano Trubbiani espone con De rerum fabula il mezzo secolo abbondante della sua attività di scultore e incisore. Trubbiani è un uomo schivo, tenacemente legato alla pratica del lavoro, sospetta le interviste ma sa essere disponibile, affettuoso, specie se sollecitato a parlare delle presenze che hanno costellato la sua personale biografia di individuo e di artista. Tramite del colloquio che segue (svoltosi in una saletta semibuia della Mole, quasi nel baricentro del percorso) è suo figlio Massimiliano, pittore, alla cui silenziosa tenacia De rerum fabula deve la sua realizzazione.

Che senso ha oggi questa mostra complessiva, riassuntiva di un così lungo percorso?

Immagini una donna sgravata, subito dopo il parto… insomma mi sono liberato di tutti i miei pesi. Ricordo una frase, profetica, del giornalista Beppe Severgnini che una volta mi disse ‘ecco, vedi, tu costruisci queste immagini come in un conato di vomito’… poi, sembrerà retorico dirlo, si è trattato anche di un atto di amore verso la città, Ancona, che mi ha sollecitato tanto a lavorare, che mi ha suggestionato a partire dalla sua struttura urbanistica. Della storia di Ancona mi colpisce il periodo classico, quello greco soprattutto, quando ha dato il meglio di sé. Qui ci sono alcuni punti fermi per me, il colle Guasco, con la cattedrale di San Ciriaco, l’anfiteatro romano che mi ha spinto a riscrivere in maniera visionaria la vita del gladiatori e poi il ricordo di Ciriaco Pizzecolli, il grande umanista di Ancona, viaggiatore infaticabile, talentuoso e furbo, persino ruffiano e lenone nel senso che cercava di arruffianarsi con tutti i regnanti del suo tempo nel tentativo di pacificarli e il fatto è che ci riusciva, regalando loro qualche vestigia, qualche moneta antica…

Ma anche Trubbiani, alla maniera di Ciriaco Pizzecolli, ha esordito collezionando o anzi ritrovando monete antiche, che è una cosa paradossale per un artista collocabile da giovane nell’area delle nuove avanguardie…

Si dà il caso che il mio paese nativo, Villa Potenza di Macerata, sorga sulle ceneri di una colonia romana, Helvia Ricina, la quale, rispetto alla stessa Macerata, era considerata la città del piano, lambita dal fiume Potenza. Fin da bambino sono cresciuto nel ricordo di queste muras ad Recinas che, storpiando le parole in dialetto, i contadini chiamavano le ‘murècine’. Ho fatto moltissimi rinvenimenti ma epocale fu quello nel letto del fiume Potenza dove trovai tutta la necropoli di Ricina smontata, simile a quella che fu trovata nel fiume Reno dalle parti di Bologna, e lì, passeggiando lungo il fiume col mio cane Liborio, ritrovai dei blocchi marmorei, cippi di marmo scolpito che spuntavano dal letto del fiume, e su indicazione della soprintendenza mi misi a numerare con la vernice rossa tutti quei frammenti. Ma il rinvenimento più clamoroso fu un vaso fittile, il tesoretto di un collezionista di allora, pieno di denari repubblicani che io, prima di consegnarli alle autorità, numerai moneta per moneta, classificandole e studiandole: allora insegnavo all’Istituto d’Arte di Ancona, ebbi un premio di dodicimila lire per un tesoro che oggi, compreso il vaso, non vale meno di mezzo milione di euro. Erano gli anni in cui, posso dire, sono riuscito a impastare il ricordo della antichità con una ricerca mia personale, assolutamente moderna, ricavandone, e penso ai miei primi aratri che divenivano macchine belliche, un corpo informe. E vivevo per quel corpo, ne ero suggestionato, se posso usare una parola oggi così impronunciabile. Continua a leggere